20 August 2013

Made in Italy

Non passa giorno senza che i media nazionali pubblichino in prima pagina a caratteri cubitali o urlino i titoli dagli schermi televisivi per evidenziare la drammatica situazione economica che, ormai da anni, sta attraversando l'Italia. Se poi, tra la notizia di un nuovo balzello e lo spreco di risorse pubbliche, ci si concentra alcuni istanti sull'argomento disoccupazione, i dati evidenziano, quasi beffardamente, un incremento a fronte di vistosi e simmetrici cali sul fronte dell'economia e della finanza. Una crescita del tasso di disoccupazione con tanto di segni più davanti da fare invidia a molti, se non fosse per il fatto che si tratta di una informazione che illustra l'andamento di un evento negativo e non un segnale di benessere collettivo. Se ancora ci si cala all'interno della fattispecie, circoscrivendola all'intorno della generazione più giovane, allora il velo pietoso non avrebbe la lunghezza sufficiente per coprire interamente la superficie poliedrica del fenomeno. Ma in Italia, è noto, si attende sempre che i problemi esplodano, manifestando tutta la loro potenza distruttiva, piuttosto che metterli in conto anticipatamente per affrontarli con la dovuta serenità, sperimentarne soluzioni e risolverli tempestivamente con competenza e l'ausilio di strumenti adeguati. Al contrario, si preferisce la tipica improvvisazione "Made in Italy", un marchio di fabbrica che contraddistingue la politica italiana, l'unico brevetto privo di valore, un copyright che nessuno al mondo si permette di imitare. Nel Bel Paese, prima di affrontare seriamente una questione è necessario attendere che l'acqua arrivi alla gola, per poi giustificare ogni decisione sciagurata con la scusa dell’urgenza. Lo stivale non è mai stato in grado di rappresentare un vantaggio competitivo rispetto agli altri partner europei. Loro hanno capito che la nostra debolezza si insinua nello sponsor di "chissenefrega", consapevoli che in Italia il gioco preferito è quello dello scarica barile sul malcapitato di turno che segue a ruota. Per catturare l'attenzione è necessario provocare, scuotere le coscienze, generare degli shock per costringere le persone a trovarsi di fronte alle conseguenze negative cui si rischia di andare incontro piuttosto che al fatto compiuto. Come procedere in questa direzione? E’ molto semplice! Non servono saggi od esperti di alto profilo, perché appartengono a quella generazione responsabile degli attuali disastri e sono privi di quella conoscenza necessaria per affrontare i problemi usando il linguaggio moderno. E' sufficiente porsi delle domande, banali, ma allo stesso tempo pungenti su aspetti comportamentali che essendo entrati a far parte della quotidianità familiare, neppure ci si fa più caso, perché la routine ha la proverbiale capacità di non creare fastidiosi problemi. Infatti, perché preoccuparsi quando la pratica del "tirare a campare" ci fornisce la sensazione di star bene? In questo caso, non occorre chiederlo a chi ci ha preceduto e/o governato. Non occorre perdere tempo e risorse pubbliche a nominare saggi od esperti di comprovata esperienza (forse in tema di generazione di problemi, piuttosto che di una loro risoluzione). La risposta la si può trovare osservando a quale punto siamo arrivati dopo aver compiuto tanti sacrifici.
AutoreEmanuele COSTA
Pubblicato suIl Nuovo Picchio n° 06-07/Giugno-Luglio 2013 con il titolo «Focus sul Made in Italy»

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