30 November 2015

Globalizzazione e disoccupazione giovanile (prima parte)

Dal punto di vista internazionale, i paesi sviluppati ed, in primis, l'Italia devono essere consapevoli che la globalizzazione è un processo continuo ed irreversibile di innovazione e crescita. Secondo l'economista americano Joseph E. STIGLITZ ("Globalisation and Its Discontents", W.W. Norton & Company, 2002) «la globalizzazione è una forza positiva che ha portato enormi vantaggi, ma per il modo in cui è stata gestita, tanti milioni di persone non ne hanno tratto alcun beneficio e moltissime altre stanno peggio di prima. La sfida che ci attende oggi è la riforma della globalizzazione, affinché non porti vantaggi soltanto ai paesi ricchi e maggiormente industrializzati, ma anche a quelli più poveri e meno sviluppati». In Italia, l'opinione generale sembra l'opposta. Infatti, la percezione è che la globalizzazione ha impoverito la condizione del paese, in quanto le imprese hanno progressivamente spostato la produzione o parte di essa all'estero, avvantaggiando quei paesi dove il costo del lavoro è più basso. Questa filosofia di pensiero, ovviamente, è dettata dalla mancanza di volontà del Paese di cambiare. In Italia, si preferisce mantenere lo status quo, evitando ogni forma di adattamento ai mutamenti in atto nel mondo circostante. Questa inazione rischia di portare il Paese a rimanere arretrato rispetto allo sviluppo del mondo, con pesanti ripercussioni negative sull'occupazione, a partire dalle giovani generazioni che, per contro, dovrebbero essere quelle più facilmente propense ad accettare il cambiamento. Alla luce di ciò, l’Italia non deve sempre cercare le cause dei suoi mali all’esterno, dando la colpa oggi alla globalizzazione e domani ad un altro fenomeno. Le cause della disoccupazione giovanile sono tutte interne al Paese ed è in questa direzione che occorre lavorare per invertire il trend negativo prima che diventi, nel breve periodo, cronico e, nel lungo periodo, irreversibile. Ma esistono alternative alla globalizzazione? La risposta è ovviamente negativa, a meno che non si accetti di ritornare alle politiche protezionistiche di qualche tempo fa. Una citazione dell'economista americano Paul KRUGMAN ("What is wrong in Japan", Nihon Keizai Shimbun, 1997) può essere utile a far comprendere le eventuali conseguenze: «Un automobilista investe un pedone, che è rimasto a terra dietro la macchina. Guarda indietro e dice: “Mi dispiace, lasciami rimediare al danno” e in retromarcia passa sopra al pedone di nuovo». La morale è che è necessario andare avanti, studiando meccanismi che consentono di convivere con la globalizzazione, sfruttando le numerose opportunità che offre. Il problema consiste nel fatto che mentre i rischi e/o gli effetti negativi sono evidenti, le opportunità sono invisibili. (continua)

AuthorEmanuele COSTA
Published byIl Nuovo Picchio n° o9/Ottobre 2015 con il titolo «Globalizzazione e disoccupazione atto primo»