23 August 2014

Crisi: subita o cercata?

La stagione estiva, ormai, non è più alle porte. E' esattamente alla porta! E' stata accompagnata precocemente all'uscita da un meteo ingeneroso, che ha concesso solo qualche sporadica tregua infrasettimanale per sfoggiare il suo lato peggiore nei fine settimana. Di fronte ad una situazione fuori da ogni immaginabile previsione climatica, le discussioni su quali provvedimenti adottare per stimolare la domanda, cercando di limitare le perdite indotte dal maltempo, si sono sprecate. E' opinione diffusa, però, che gli operatori economici non hanno né agito di conseguenza, né reagito di motu proprio. L'unico segnale di vita è stato il perpetuo "mugugno" nei confronti delle Amministrazioni locali competenti per territorio, ignorando il fatto che la Pubblica Amministrazione non può e non deve configurarsi come il salvagente di soggetti privati. Il suo ruolo, eventualmente, può essere quello di sviluppare politiche pubbliche in grado di facilitare il funzionamento del mercato. L'epoca della privatizzazione dei profitti e della socializzazione delle perdite è finita da un pezzo! In qualunque settore produttivo, gli operatori non devono mettere in campo le loro abilità facendosi guidare esclusivamente dalla logica del profitto. Il prezzo di vendita è sicuramente una componente della qualità del prodotto/servizio offerto, ma non rappresenta né l'unico, né il principale driver. In molte circostanze gioca un ruolo marginale, se non addirittura ininfluente. In un periodo di crisi economica, acuito anche dalla componente meteo, sono altri i fattori che incidono sulla qualità. Nessuno di questi, peraltro, ha natura economica, essendo strettamente collegati alle abilità imprenditoriali di attirare ed invogliare i clienti ad acquistare i propri beni/servizi anziché quelli dei concorrenti operanti altrove. E' per queste ragioni che una delle critiche che maggiormente viene attribuita agli operatori economici è che la loro mentalità spesso si limita a guardare solo allo standard di qualità per fissare il prezzo di vendita. Una visione così ristretta dimentica che il concetto di qualità non deve fare riferimento a quella offerta, ma a quella che è percepita dal cliente. In altre parole, spesso si è convinti di essere i migliori produttori sulla piazza, mentre per i clienti il servizio offerto è semplicemente scadente. Per questo è abbastanza banale dimostrare che appellarsi alla qualità è soltanto un subdolo tentativo di giustificare un livello dei prezzi elevato. Un ulteriore elemento che gioca a sfavore di quegli operatori che con forza difendono la qualità dei prodotti/servizi offerti, per mantenere elevati i prezzi di vendita, è quello di credere (erroneamente) di alzare una barriera all'entrata di nuovi concorrenti, in modo da poter ancora sfruttare quella fetta di mercato ormai ridotta in briciole. Se ciò fosse vero, si dovrebbe assistere ad un duplice fenomeno: da un lato, la chiusura di attività produttive che non riescono a mantenere quegli standard qualitativi; dall'altro, la completa assenza di apertura di nuovi esercizi commerciali. Nel primo caso, la chiusura dei negozi è da imputare ai prezzi di vendita praticati che non incontrano la domanda dei potenziali clienti, facendo collassare il fatturato al di sotto del cosiddetto break-even point, piuttosto che all'impossibilità di garantire uno standard di qualità. Nel secondo caso, per contro, si assiste all'avviamento di nuove realtà imprenditoriali grazie all'intraprendenza di operatori asiatici che non essendo guidati da logiche imperniate esclusivamente sul profitto, sanno coniugare prezzi accessibili con una qualità dei prodotti/servizi che non ha nulla da invidiare rispetto a quella offerta dagli esercenti nostrani, con la differenza che i primi lavorano e vendono di più (sottraendo quote di mercato ai diretti concorrenti) perché quella maggiore disponibilità combacia con le esigenze della clientela. A titolo di esempio, la qualità del cibo non dipende dal mercato di rifornimento, ma dal modo in cui è presentato, cucinato, messo in tavola e accompagnato. In altre parole, non serve autoreferenziarsi come "i migliori sulla piazza" se poi è sufficiente girare l'angolo per trovare altri operatori che, a prezzi inferiori, hanno la capacità di offrire una qualità di pari o superiore livello. In parole semplici, la qualità media dell'offerta non dipende dal tenore di vita dei clienti sopravvissuti! Se così fosse, dovrebbe rappresentare un "warning" e non un elemento distintivo di cui andare fieri. Per queste ragioni, non è tollerabile, in località a vocazione turistica e soprattutto dopo una stagione deludente, assistere alla cacciata di turisti la cui unica colpa è stata quella di varcare l'entrata del ristorante alcuni minuti dopo le dieci di sera, così come non è piacevole osservare il personale di sala mentre abbandona il posto di lavoro pochi istanti dopo oppure offrire un servizio lento perché il personale (nel periodo di alta stagione) è stato mandato in ferie! Se la realtà è questa, la domanda è una sola: non c'è lavoro o non si vuole lavorare? Di fronte a questo modus operandi non ci potrà mai essere un'Amministrazione Locale in grado di risolvere il problema legato alla crisi economica. Con questi comportamenti organizzativi la chiusura di un'attività è assicurata, sia per effetto di una scarsa accoglienza, sia per quel boomerang promozionale che nel passaparola trova il canale di comunicazione più efficace ed efficiente. Non può esistere un "prodotto di qualità" se la qualità offerta è di questo tenore. Non serve affidarsi a consulenti per uscire da questo status, drenerebbero altre risorse per non risolvere nulla. Ciò che è utile alla causa è quello spirito di iniziativa e capacità imprenditoriale non indirizzata a realizzare il più alto margine di profitto, ma improntata all'accoglienza, al sorriso, alla disponibilità verso il cliente. La promozione seguirà a ruota ed il tutto non avrà alcun costo! In un mercato sempre più in crisi, sono i clienti, non i venditori, a decidere quale prodotto/servizio sia di qualità e soddisfi meglio le loro esigenze. Occorre prendere coscienza che se è vero che "nessun pasto è gratis", oggi più di ieri è inutile voler continuare ad essere ingordi.
AutoreEmanuele COSTA
Pubblicato suwww.tigulliana.org (nella Rubrica "Diritto di Parola") del 23 agosto 2014 con il titolo «Crisi: subita o cercata?»

14 August 2014

Il rischio di avere paura

Cosa spinge l'essere umano a fuggire dalla realtà? Nonostante sia problematico dare una spiegazione a questa reazione comportamentale, non è, al contrario, difficile individuare l'unica risposta plausibile: la pauraLa quotidianità dei fenomeni, infatti, fa sì che le situazioni si evolvano verso un duplice scenario. Da un lato, emergono i processi di cambiamento che investono la società civile, dai quali, il più delle volte, si cerca di scappare perché ci si sente incapaci di adattarvisi. In altre parole, si predilige lo status quo, composto da eventi prevedibili o, nella migliore delle ipotesi, da assenza di novità. La mancata capacità di adattare il proprio modus vivendi all'ambiente circostante crea quel senso di angoscia che orienta l'uomo ad allontanarsi dal potenziale pericolo in quanto, sentendosi preda del cambiamento, cresce la paura di affrontarlo in prima persona. Dall'altro, affiora la verità dei fatti, i cui meccanismi appaiono tanto paradossali da scatenare nella mente umana una forma automatica di rigetto. Questo avviene perchè se quella circostanza fosse confermata, metterebbe in discussione la solidità di quell'impalcatura sulla quale poggia il consenso. La paura prende, così, il sopravvento, scatenando reazioni incontrollabili che spingono il corpo a manifestare, in forma verbale o attraverso i movimenti, il significato del proprio pensiero in quel preciso momento. Eppure tutto si potrebbe evitare se, prima di farsi cogliere da istinti primordiali, ci si fermasse un istante, trasformando la paura in una grande opportunità. Sarebbe sufficiente chiedersi per quale ragione ci sono persone che insistono con caparbietà nella ricerca del cambiamento oppure perché ve ne sono altre che, mettendo in pericolo la propria vita, continuano ostinatamente a lottare per far emergere la verità. E' veramente importante riflettere su questi due interrogativi. Altrimenti, ci si dovrà rassegnare al fatto che, nell'approfondire gli studi sul comportamento umano, aveva ragione lo storico dell'economia Carlo Maria CIPOLLA quando scrisse la Terza Legge della "Teoria della stupidità umana": «Una persona è stupida se causa un danno a un'altra persona o a un gruppo di persone senza realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo un danno».
AutoreEmanuele COSTA
Pubblicato suIl Futurista del 29 novembre 2011 con il titolo «Il rischio di avere paura»