29 December 2012

Controllo di Gestione: qual è il valore delle opportunità perdute? Modelli a confronto


In un sistema economico nel quale le variabili in gioco accentuano costantemente la loro dinamicità, la Pubblica Amministrazione non può continuare ad affidarsi a strumenti di gestione antiquati e impostare l’architettura del processo decisionale basandosi su strutture adatte ad epoche ormai superate. L’aver operato per anni, se non addirittura decenni, facendo perno su output di difficile o impossibile misurazione, ha contribuito a calcificare nel pensiero amministrativo la convinzione che è possibile attribuire un valore al nulla. Da ciò è derivato un sistema di valutazione delle prestazioni privo di significato, utile solo per giustificare l’erogazione di retribuzioni variabili svincolate dagli effettivi risultati conseguiti, in quanto insignificanti o configurabili come tali. Poiché il processo di trasformazione in atto sembra inarrestabile è, quindi, inaccettabile che gli obiettivi da realizzare siano, ancora oggi, individuati ricercando l’esistenza di punti di contatto con una filosofia che si ottiene dall’esclusiva logica applicativa della regola. Storicamente (Figura n° 1), era la norma a costituire il fattore motivante, in quanto rappresentava, all’interno di un quadro di riferimento, un esito perfettamente conosciuto e aderente alle aspettative e, pertanto, sempre realizzabile seguendo i passi suggeriti dal testo elaborato dall’autore della legge, interpretandola alla lettera. In ambito pubblico non era necessario scatenare tempeste neuronali per risolvere i problemi, ma era sufficiente avere una forma mentis limitata ad assegnare alle parole contenute in un volume giuridico il medesimo significato voluto dal legislatore.


 In questo modello, il processo di feedback è mirato a rivedere il modus operandi per rinforzarlo (positivamente o negativamente), implicando un’analisi critica della giurisprudenza, anziché mettere in discussione il procedimento seguito per rispettare l’assioma normativo. In caso di divergenza tra risultato atteso ed effettivo, il movente va ricercato nella potenziale distorsione interpretativa del testo di legge e nulla può essere addebitato al comportamento tenuto dagli operatori. Lo schema manifesta in tutte le direzioni l’impossibilità di individuare le cause derivanti dal mancato raggiungimento di un obiettivo, in quanto l’assenza di movimento decisionale indotta dal legislatore, rende vana la ricerca di responsabili. In epoche più vicine alla realtà (Figura n° 2), si è compiuto uno sforzo cerebrale per assegnare al target la funzione di stimolo, affinché il cammino giuridico tracci il comportamento da adottare, per far sfociare, nel risultato atteso, la conseguenza indotta dall’azione.


 Il modello proposto impone che sia l’obiettivo a sollecitare l’adozione, da parte degli operatori, di una specifica condotta entro i binari della norma, agendo nella direzione del soddisfacimento delle aspettative. L’orientamento dello schema indirizza il meccanismo di feedback sull’obiettivo, verificando se lo stesso può accompagnare verso lo scenario desiderato, oppure rende necessaria la sua rivisitazione, spostando, in ultima analisi, il bersaglio. Se il risultato non è raggiunto, l’illustrazione delle ragioni va individuata nel recinto del potere decisionale, all’interno del quale va imputata l’incapacità di governare il cambiamento in atto, che si è limitato a recepire passivamente la dinamica degli eventi per giustificare, a posteriori, l’estraneità a responsabilità di gestione. Il fallimento delle due precedenti impostazioni ha concorso ad elaborare una nuova riflessione mirata allo sviluppo di un approccio orientato al futuro e costruito approfondendo le possibili evoluzioni del contesto di riferimento, anziché ancorare le conclusioni al rispetto delle risultanze del trend storico. In futuro (Figura n° 3), anche se il ritardo lo si percepisce già, lo stimolo all’azione dovrà essere individuato nel risultato atteso, affinché il modo di agire accompagni verso un percorso condivisibile e sostenibile e la conseguenza si concretizzi nell’aver centrato l’obiettivo.


 In questo caso, il processo di feedback non metterà in discussione né l’obiettivo realizzato, né l’applicazione di una specifica metodologia, ma la razionalità dell’aspettativa dei risultati. Infatti, solo mettendo in discussione i procedimenti adottati fino ad oggi, si potranno toccare con mano i benefici conseguiti prima che la somma delle opportunità perdute assuma dimensioni insanabili. Se la strategia è quella di perdere ancora del tempo per modificare lo stato delle cose prima di sperimentare qualcosa di innovativo, vorrà dire che si continuerà inutilmente a pretendere nuove soluzioni applicando tecniche già collaudate. In altre parole, volutamente si ignora che oltre cinquant’anni fa Albert EINSTEIN aveva sostenuto: «Follia è fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi». Quante opportunità si devono ancora perdere?
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Semplice5/2011 con il titolo «Controllo di Gestione: qual è il valore delle opportunità perdute? Modelli a confronto»

14 December 2012

Gestione dell'acqua: questione di "liquidità"?

E’ inutile nascondere che, in un’economia di mercato, il profitto segnala all’impresa la capacità di sopravvivenza nella giungla concorrenziale. Una risorsa generata dalla gestione che attesta il successo di una formula imprenditoriale e manifesta la remunerazione del capitale investito in una specifica attività. Ciò che, però, lascia ancora qualche margine di perplessità è quella situazione in cui il Comune rinuncia ad amministrare direttamente beni/servizi, come la risorsa idrica, per cedere al privato anche l’opportunità di conseguire ulteriori benefici dal rialzo dei prezzi di vendita. Anziché governare in proprio l’incremento tariffario, destinando i maggiori introiti al miglioramento di servizi essenziali senza chiedere nuovi sacrifici ai Cittadini o riducendo la pressione fiscale, si preferisce eliminare dalla filiera quelle attività non istituzionali dalle quali, miracolosamente, solo il privato sembra avere le capacità di creare ricchezza. La risposta al dilemma è banale: con la cessione al mercato degli acquedotti pubblici si voleva perseguire l’obiettivo di salvaguardare l’erogazione del servizio, rendendolo, al tempo stesso, più efficace ed efficiente, con la conseguente finalità di abbattere i costi operativi ed, in ultima analisi, l’onere a carico del Contribuente. Peccato che, di fronte ad un proposito così lodevole, oggi i Cittadini si chiedono cosa non abbia funzionato. In altre parole: siamo sicuri che il privato ha saputo sostituirsi al soggetto pubblico, migliorando la gestione del servizio idrico e, a posteriori, la soddisfazione del cliente? Ciò che in passato era assicurato da una gestione burocratica, inefficace, inefficiente, poco orientata al cliente, ma a buon mercato, oggi è garantita da altri soggetti, con la triste e unica conseguenza che l’elemento discriminante tra le due gestioni (pubblica e privata) è rappresentato dal prezzo pagato ogni volta che si apre il rubinetto dell’acqua. L’interrogativo che rimane ancora senza risposta è che, probabilmente, gli aumenti tariffari siano serviti, prima, per assicurare un immediato rientro al capitale impiegato e, poi, per finanziare altre forme di investimento. In aggiunta a ciò, spesso si dimentica che la politica di outsourcing dei servizi pubblici pesa in doppia misura sulle tasche dei Cittadini: attraverso aumenti di prezzo, decisi dal privato, e maggiori imposte per coprire i costi dei servizi istituzionali, deliberati dal pubblico. Il Cittadino può però stare tranquillo: la gestione dell’acquedotto è rimasta una fonte di liquidità!
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Il Secolo XIX del 13 settembre 2008 con il titolo «Gestione dell'acqua: questione di "liquidità"?»

5 December 2012

Polizze assicurative senza estensione della garanzia ai casi di "colpa grave"


L’articolo 59 - comma 3 - della Legge n° 244/2007 (Legge Finanziaria 2008) ha recepito, all’interno di una norma, la consolidata giurisprudenza della Magistratura Contabile che, in più occasioni, si era pronunciata contro il pagamento, da parte degli Enti Pubblici, degli oneri derivanti dall’estensione della garanzia ai casi di “colpa grave” per le polizze assicurative che prevedono questa possibilità (Polizza “Patrimoniale” e “Tutela giudiziaria”). Assunto che rivive, con sfumature differenti, ma più pregnanti, il contenuto della Sentenza della Corte dei Conti - Sezione Giurisdizionale - della Regione Umbria n° 553/2002, nella quale si affermava l’impossibilità di stipulare, con spesa a carico del bilancio, polizze assicurative a favore dei propri Amministratori o Dipendenti che, nell’esercizio delle loro funzioni, si erano resi responsabili di comportamento gravemente colposo. Nel dettaglio, la norma di legge non solo sancisce la nullità dei contratti stipulati (o in essere) con decorrenza dal mese di luglio 2008, ma associa l’eventuale mantenimento (o proroga) delle garanzie assicurative ad una sanzione, a titolo di danno erariale, corrispondente a dieci volte l’entità dei premi indicati nel contratto assicurativo. Il divieto assoluto ad agire come in passato implica dei riflessi sulla procedura di scelta del contraente al quale affidare la fornitura del servizio assicurativo, in quanto le recenti interpretazioni giuridiche della Corte dei Conti (si veda il parere n° 57/2008 della Sezione Controllo della Corte dei Conti della Regione Lombardia) non solo hanno esteso il concetto di “Amministratore” alla categoria più ampia dei dipendenti pubblici, ma hanno altresì previsto l’impossibilità per l’Ente sia di mandare in gara la polizza completa dell’appendice relativa alla “colpa grave”, sia di anticipare il premio in nome e per conto dell’Amministratore/Dipendente da assicurare. Alla luce delle nuove disposizioni, quindi, l’Ente dovrà procedere alla scelta del contraente per la fornitura del servizio assicurativo, limitando le condizioni di polizza alla copertura della responsabilità civile, demandando ad ogni soggetto interessato alla tutela della garanzia per “colpa grave” alla stipulazione di una polizza personale separata da quella dell’Amministrazione Pubblica presso la quale lavora.Il risultato generato dalla norma per l’Ente si manifesta nella semplificazione amministrativo/contabile derivante dalla gestione dei contratti assicurativi personali, mentre il rischio di un maggior onere (non solo economico) derivante dall’estensione della garanzia ai casi di “colpa grave” inciderebbe esclusivamente sugli Amministratori/Dipendenti che dovranno scegliersi autonomamente la Compagnia di Assicurazione disposta ad emettere un’appendice ad una polizza che potrebbe essere stata sottoscritta con un altro soggetto.
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Semplice10/Ottobre 2012 con il titolo «Polizze assicurative senza estensione della garanzia ai casi di "colpa grave"»