26 May 2014

"Ottanta" ... fame di spendere

Ci risiamo! "Tentar non nuoce" recita un famoso detto proverbiale, anche se in circostanze come questa, a rigor di logica, sarebbe più appropriato affermare: "Perseverare è diabolico!". Ed in vista di una gratifica economica in busta paga a fine mese, mai questa espressione filosofica si presta ad illustrare una situazione che sembra nascondere una verità che ha dell'incredibile. Errori in passato ne sono stati commessi tanti. Non serve elencarli, in quanto i risultati sono sotto gli occhi di tutti con una tale evidenza che non è necessario elaborare sofisticate dimostrazioni. E', pertanto, inammissibile rispolverare meccanismi di politica fiscale per perseguire finalità che, peraltro, si collocano in controtendenza rispetto all'obiettivo principale che si ha intenzione di realizzare. In uno scenario caratterizzato da una profonda recessione, dove i consumi rappresentano la variabile economica più colpita e sacrificata dai contribuenti, entra in scena un nuovo salvatore della Patria: lo "spesometro". Uno strumento tanto inutile quando dannoso, che spesso è evocato e usato per stanare coloro che appartengono alla famigerata "Casta degli evasori". Una categoria di Cittadini da sempre considerata la principale fonte di tutti i mali (economico/finanziari) del Bel Paese. L'iniziativa sarebbe di per sé lodevole se non fosse, da un lato, per alcuni elementi strutturali che caratterizzano il reddito delle famiglie italiane e, dall'altro, per la gratificazione che alcune di esse si apprestano a beneficiare a partire dal prossimo mese. Elargire un aumento retributivo per agevolare e stimolare la ripresa dei consumi sembra fare a pugni con lo "spesometro", che si prefigge (proprio tramite la mappatura della spesa del nucleo famigliare) di far emergere nuova base imponibile da assoggettare a tassazione. In altre parole, è come invitare il contribuente che ha appena festeggiato un riconoscimento salariale a spendere questo "bonus" ricevuto, per poi, attraverso la misurazione dei consumi, cercare di individuare se lo stesso può essere gravato da una imposizione fiscale maggiore. Se così fosse, l'incremento del netto in busta paga ritornerebbe presto al mittente per altra via. Il rischio, non calcolato, è che il consumatore potrebbe essere indotto a privilegiare acquisti "in nero" per non incorrere nei controlli del Fisco, vanificando a tutti gli effetti proprio ciò che lo "spesometro" si prefiggeva di realizzare, ossia contrastare l'evasione fiscale. Se si vuole aiutare la ripresa dei consumi occorre mettere a disposizione dei Cittadini un sistema coordinato di strumenti mirati a stimolare la domanda di beni e servizi che vanno tutti nella stessa direzione. Erogare un benefit per invogliare il contribuente a spenderlo per poi colpirlo proprio attraverso quella spesa equivarrebbe a lanciare una fune ad un condannato all'impiccagione. Certamente, potrebbe aiutarlo a saltare il fosso, sfuggendo al boia. Ovviamente dipenderà da chi sarà più abile e svelto a acchiappare la fune.
AutoreEmanuele COSTA
Pubblicato suIl Nuovo Picchio n° 04-05/Aprile-Maggio 2014 con il titolo «"Ottanta" ... fame di spendere»

17 May 2014

Elezioni: un altro mercato dei "limoni"? (seconda e ultima parte)

(segue)

Oggi chi pretende, senza alcuna umiltà, di essere in grado di assumersi le responsabilità connesse alla guida di un Paese parte dal presupposto che tutto ciò che è stato fatto in precedenza è sbagliato e, quindi, è necessario correre ai ripari. Poiché da un'analisi a 360° dello stato dell'arte emerge che i problemi non sono mai stati affrontati e risolti, ciò significa che in passato non è stato fatto proprio nulla. Questo comporta automaticamente che non essendo possibile porre rimedio al nulla, tutto ciò che ogni "Programma di Mandato" promette di fare corrisponde miseramente ad una gigantesca ed autentica presa in giro. Non è un caso se lo stesso Aristotele ("Politica", IV secolo B.C, e "Etica Nicomachea", IV secolo B.C.) si trovava perfettamente in sintonia con il poeta greco Agatone sul fatto che nemmeno Dio era in possesso di poteri divini in grado di modificare il passato. Da ciò, pertanto, discende la immediata dimostrazione che la "scelta ottimale" non alberga nemmeno in colui che, nascondendosi dietro facili promesse, crede di poter fare meglio di chi lo ha preceduto. Gli scettici (intesi come coloro che non vogliono capire) potrebbero giustamente obbiettare che questa è pura e semplice teoria filosofica, mentre la realtà dei fatti è profondamente differente perché, in fin dei conti, le scelte avvengono nel rispetto di regole democratiche. In democrazia, però, si tende con facilità a travisare i fatti: chi vince non ha il diritto di governare e chi perde il dovere di controllare. E' esattamente l'opposto! Ritornano, quindi, in campo i cosiddetti "interessi personali" che ruotano intorno alla decisione di avanzare la propria candidatura. Interessi il cui perseguimento non andrà nella direzione di assumere decisioni capaci di generare un miglioramento economico sociale (o di benessere collettivo), anche quando sono prese a maggioranza. L'economista indiano Amartya SEN ("Development as Freedom", 1999) illustra magistralmente questo principio, precisando che l'esistenza di una regola di maggioranza non è idonea nemmeno per iniziare ad affrontare un dibattito economico: «Consideriamo il caso di tre persone, dai nomi (di poca fantasia) di UNO, DUE e TRE, che debbano dividersi una torta, e supponiamo che ciascuna delle tre voglia massimizzare la propria fetta ... (omissis) ... Prendiamo adesso una divisione qualsiasi della torta tra tutte e tre le persone: possiamo sempre introdurre un "miglioramento per la maggioranza" togliendo ad una di loro (per esempio a UNO) una parte della sua fetta e dividendola fra le altre due (cioè tra DUE e TRE). Ora il "miglioramento" ci sarebbe, anche se la vittima di turno (vale a dire UNO) fosse la più povera delle tre. Anzi, possiamo sempre continuare a portare via alla persona più povera una parte della sua fetta e dividere il bottino fra e é non resta più niente da portare via alla povera UNO». Questo esempio rende perfettamente l'idea di quale catena di miglioramenti sociali sia possibile realizzare, ovviamente dal punto di vista della maggioranza! E se il potere maggioritario finisce in mano a chi persegue interessi privati, allora è facilmente prevedibile quale incremento di benessere collettivo si potrà conseguire. Anche Adam SMITH ("The Theory of Moral Sentiment", 1759, e "The Wealth of Nations", 1776), qualche secolo prima, aveva sostenuto che coloro che perseguono interessi privati, agiscono per il loro "naturale egoismo" e la loro "naturale rapacità", solo per soddisfare "vani e insaziabili desideri". Quindi, se neanche la presenza di un regime democratico è in grado di indirizzare verso una "scelta ottimale", quale altra strada può essere percorsa per individuarla? Un'alternativa potrebbe essere quella di non concentrare la propria opinione sul leader e nemmeno formulare giudizi sulla compagine che ne accompagna la candidatura. In altre parole, si potrebbe ragionare a ritroso, ponderando attentamente la qualità dei soggetti che pur potendo appartenere ad una lista ne sono stati esclusi o, per diverse ragioni, ne è stata preclusa l'appartenenza al gruppo. Nel 122 B.C. gli autori dello "Hui-nan Tzu" ponevano la questione in altri termini: «Se il regolo misuratore è vero, il legno sarà dritto, non perché facciamo particolari sforzi per renderlo tale, ma perché è ciò che da cui esso è "regolato" a renderlo tale. Allo stesso modo, se il governatore è sincero e retto, nel suo governo serviranno onesti ed i furfanti correranno a nascondersi, ma se il governatore non è retto gli uomini malvagi prevarranno e gli uomini fedeli si ritireranno in solitudine». In definitiva, la questione che l'elettore si trova di fronte è solo una: "Per chi votare?". Sulla base di tutte le osservazioni formulate in precedenza, emerge con lapalissiana evidenza come il mercato elettorale sia viziato da asimmetria informativa tra coloro (i candidati) che vendono un prodotto (il cosiddetto "Programma di Mandato") e coloro (gli elettori) che devono acquistarlo (attraverso il voto). Il funzionamento di questo mercato, con tutte le conseguenze che ne derivano, può essere assimilato a quello delle auto usate dove la qualità delle stesse è nota ai venditori, ma non ai compratori ed il rischio per questi ultimi è quello di acquistare veicoli di bassa qualità, che l'economista George AKERLOF ha definito "lemons", pagandoli a caro prezzo ("The Market for "Lemons": Quality Uncertainty and the Market Mechanism", 1970). Ci si deve, quindi, aspettare che le elezioni si traducano in un altro mercato dei "limoni"?.

(fine)

References:
- AA.VV., "Hui-nan Tzu", 122 B.C;
- George AKERLOF, "The Market for "Lemons": Quality Uncertainty and the Market Mechanism", 1970;
- Aristotele, "Etica Nicomachea", IV secolo B.C.;
- Aristotele, "Politica", IV secolo B.C.;
- Amartya SEN, "Development as Freedom", Oxford University Press, 1999;
- Adam SMITH, "The Wealth of Nations", 1776;
- Adam SMITH, "The Theory of Moral Sentiment", 1759.


AutoreEmanuele COSTA
Pubblicato suwww.tigulliana.org (nella Rubrica "Diritto di Parola") del 17 maggio 2014 con il titolo «Elezioni: un altro mercato dei "limoni"? (seconda e ultima parte)»

3 May 2014

Elezioni: un altro mercato dei "limoni"? (prima parte)

Ogni volta che un Cittadino è chiamato ad esprimere la personale preferenza in una consultazione politica, un dilemma aleggia misterioso intorno alla cabina elettorale. E' preferibile votare per il candidato “X” oppure orientare la propria scelta sul diretto concorrente? E' meglio sostenere il rappresentante di una lista data per vincente oppure contribuire a smentire i bookmaker agevolando il successo dell'outsider? E' auspicabile garantire il mantenimento dello status quo (che consentirà di perpetuare il lamento sullo stato dell'arte) oppure favorire un cambiamento radicale, preparandosi ad affrontare e sfruttare le opportunità derivanti? Tutti interrogativi legittimi, che richiedono una profonda meditazione per evitare di commettere l'errore per il quale pentirsi nello spazio di quell'istante che segue la proclamazione del vincitore. Come comportarsi, quindi, per evitare che ciò puntualmente si verifichi? In altre parole, quale strategia adottare per individuare, prima di esprimere il voto, la cosiddetta "scelta ottimale"? E' possibile elaborare una risposta sensata alle questioni poste in premessa? Per rispondere ai diversi interrogativi occorre armarsi di pazienza e seguire attentamente alcuni “consigli per gli acquisti”, che possono consentire di mettere sul piatto della bilancia le diverse opzioni, ponderando, successivamente, con tutti gli strumenti a disposizione, quale decisione ha un peso superiore alle altre. Coloro che credono (beati loro!) di aver già operato la scelta ottimale possono dedicarsi ad attività ludiche più interessanti piuttosto che sprecare tempo prezioso dilettandosi in questa lettura, che si propone l'obiettivo di mettere in discussione proprio ciò che per loro corrisponde a indiscutibile verità. In primis, è necessario condividere il pensiero di base che, ogni volta che si ha l'intenzione di esercitare il diritto/dovere di voto, lo scopo principale dovrebbe essere quello di assicurarsi che, dallo spoglio delle schede elettorali, esca il nome di una persona che sia capace di sviluppare "politiche pubbliche" idonee ad incrementare il benessere collettivo. In secundis, è opportuno fissare un altro paletto, entro il quale circoscrivere l'attuale riflessione. Per farlo si rende necessario mettere il lettore nelle condizioni di facilitare la comprensione di un fenomeno, fornendogli alcune precisazioni o meglio, come si usa dire in ambito scientifico, alcuni concetti validi “per definizione”. William N. DUNN definisce la "politica pubblica" come «la risposta ad un problema percepito come pubblico» ("Public Policy Analysis", 1981). Detto questo, è sufficiente guardarsi in giro per verificare autonomamente quanti problemi sono ancora in attesa di una soluzione. Questa evidenza è la dimostrazione di come le politiche pubbliche adottate fino a questo momento non possano qualificarsi come tali, lasciando presagire che le finalità delle decisioni prese in passato avevano altri scopi, che, ovviamente, non hanno influito sul miglioramento del benessere collettivo. La questione si sposta allora sul versante della percezione. I decisori pubblici che si apprestano a governare un Paese se hanno difficoltà a percepire un problema come pubblico, figuriamoci quella cui andranno incontro per individuarlo! La questione può essere superata, limitandosi a leggere i vari "Programmi di Mandato" per scoprire, con assoluta meraviglia o riconosciuta complicità, che di problemi pubblici da risolvere non vi è minimamente traccia. Spesso questi documenti si riducono a sterili elenchi di iniziative (magari anche lodevoli) le cui realizzazioni il più delle volte consistono nel togliersi qualche sfizio personale, senza contribuire ad incrementare il benessere della collettività. Allora, se il "Programma di Mandato" non si prefigge lo scopo di illustrare al Cittadino la strategia politica, rendendolo edotto dei bisogni pubblici che saranno soddisfatti, quale misteriosa finalità si propone di realizzare questo manifesto? La risposta è ovvia: dipende dagli interessi dell'individuo che si presenta come candidato, ovviamente nella versione tanto cara a Francesco GUICCIARDINI ("Ricordi politici morali", 1512). Infatti, se ad un aspirante leader è associabile un potenziale conflitto di interesse tra l'attività personale svolta e l'oggetto di una qualunque politica pubblica deliberabile, ecco che quella candidatura si presenta già viziata all'origine e, quindi, non può certamente configurarsi come la "scelta ottimale" da operare all'interno della cabina elettorale. E' sufficiente prendere atto di un celebre passo di Vilfredo PARETO per rendersi immediatamente conto delle potenziali conseguenze cui si rischia di andare incontro: «Se un provvedimento A sarà cagione della perdita di una lira ciascuno per mille uomini, e del guadagno di mille lire per un uomo solo, quest'uomo opererà con grande energia, quei mille uomini si difenderanno fiaccamente, onde è molto probabile che, infine, vincerà quell'uomo che, col provvedimento A, mira ad appropriarsi di mille lire» ("Manuale di Economia Politica", 1906). Su circostanze similari era intervenuto anche il Premio Nobel per l'economia Amartya SEN, mettendo in guardia come «nel mondo in cui viviamo, l'uso dell'influenza politica per conseguire un guadagno economico è un fenomeno quanto mai reale» ("Development as Freedom", 1999). Ed è proprio su questi temi di profonda attualità che oggi si gioca la battaglia per la conquista del potere, senza esclusione di colpi. Per queste ragioni (non sempre ovvie come in realtà lo sono) è sempre più necessario impegnarsi per cercare di elaborare una risposta ad una questione da tempo oggetto di vivace dibattito: "E' possibile cambiare il passato?". (continua)

References:
- William N. DUNN, "Public Policy Analysis", Prentice Hall, 1981;
- Francesco GUICCIARDINI, "Ricordi politici morali", 1512;
- Vilfredo PARETO, "Manuale di Economia Politica", 1906;
- Amartya SEN, "Development as Freedom", Oxford University Press, 1999.

AutoreEmanuele COSTA
Pubblicato suwww.tigulliana.org (nella Rubrica "Diritto di Parola") del 03 maggio 2014 con il titolo «Elezioni: un altro mercato dei "limoni"? (prima parte)»