3 January 2016

Oltre la crisi c'è speranza?

Carissimo Direttore, ho apprezzato molto la Sua preziosa considerazione economica che, partendo dall’analisi degli accordi di Bretton Woods (1944), ci ha consapevolmente riportato alle potenziali origini dell’attuale e persistente crisi economica. Tuttavia, con questo mio modesto contributo, mi sia consentito (e, conoscendo l’alto riconoscimento che Ella ha per la libertà di stampa e di opinione, ho la certezza che lo sarà) di dissentire, almeno parzialmente dal profilo che la Sua riflessione ha piacevolmente delineato. E’ necessario precisare che ogni decisione di natura economica va sempre calata nel contesto storico in cui è stata adottata e non può considerarsi valida o sostenibile in scenari profondamente mutati rispetto a quelli originari. In altre parole, il meccanismo basato sul cosiddetto “Gold Exchange Standard”, vale a dire la libera e completa convertibilità del dollaro in oro era, già in partenza, viziato da un difetto di base non trascurabile. Infatti, mentre la moneta cartacea (nella fattispecie la divisa americana) poteva essere materialmente stampata dalla Federal Reserve (pur nei vincoli di politica monetaria), il metallo giallo non era disponibile in quantità illimitata, in quanto la sua materiale produzione dipendeva dalla scoperta di nuovi filoni aurei dai quali poter estrarre il metallo prezioso. Quindi, se tutti avessero chiesto la conversione dei “biglietti verdi” in oro, prima o poi si sarebbe attinto all’ultimo lingotto disponibile. Non è, pertanto, un caso se quel meccanismo, da ipotetico stabilizzatore del sistema economico internazionale del dopoguerra, si arrugginisse con il trascorrere del tempo, minando le sue capacità intrinseche in modo così irreversibile da richiedere una profonda revisione, che non poteva essere attuata se non dalla parte di quello Stato che, all’epoca, lo aveva sponsorizzato. Poiché il target alla base della scienza economica è quello di approfondire il comportamento delle diverse variabili per cercare di adottare appropriate politiche in grado di accompagnare il sistema verso l’equilibrio o la stabilità, uno strumento non può mai essere la soluzione valida per l’eternità, specie se cerca, da un lato, di imporre regole fisse sui cambi, la cui fluttuazione è demandata al mercato e, dall’altro, la sostenibilità a decisioni di natura politica che, generalmente, si propongono obiettivi diversi a seconda dello Stato nel quale sono messe in pratica. In sintesi, è stato un tentativo molto ambizioso cercare di conseguire la convergenza di un rapporto di cambio attraverso politiche divergenti. Come recita una delle varianti di un detto popolare, «a furia di tirare la corda, prima o poi si spezza» e la profezia non ha tardato a verificarsi in un sistema imperniato prevalentemente su cambi fissi. La storia, tuttavia, non insegna mai abbastanza e per tamponare gli errori commessi in passato si cerca sempre di correre ai ripari con strumenti diversi nella forma, ma non nella sostanza. In altre parole, si insiste sempre nel pretendere di voler imbrigliare il mercato, il cui spirito libero non ammette limitazioni di sorta. Ciò che, eventualmente, deve essere regolamentato è il comportamento degli operatori e non un meccanismo il cui funzionamento è determinato dall’agire umano. Per dirla come Friedrich August VON HAYEK: «Non importa se si guida a destra o a sinistra purché tutti facciano lo stesso. La cosa importante è che la regola consente di prevedere il comportamento delle altre persone correttamente in tutti i casi, anche se, in un caso particolare, ci sembra ingiusto» (“The Road to Serfdom”, Rouledge, 1944). E poiché gli shock in economia sono sempre in agguato e, peraltro, si manifestano senza alcun preavviso, non ci si può affidare ciecamente a meccanismi di funzionamento del sistema creati senza prevedere, nel contempo, idonei strumenti di salvaguardia. Il sistema ideato e adottato nel corso della Conferenza Internazionale di Bretton Woods era destinato a funzionare in condizioni di stabilità e a fallire miseramente alla prima vibrazione dei mercati. Le crisi internazionali verificatesi agli inizi degli Anni Settanta, infatti, hanno contribuito a dare il colpo di grazia alla fragilità di quell’accordo, costringendo gli Stati Uniti a mettere la parola “fine” alla convertibilità del dollaro in oro. Per rimediare all’insuccesso di quello strumento ne è stato realizzato, pochi anni più tardi, uno simile su scala europea (il Sistema Monetario Europeo) la cui sorte era, ovviamente, già segnata in partenza. Poco più di un decennio dopo, la speculazione sui tassi di cambio ne aveva minato le fondamenta edificate su un terreno costituito da politiche comunitarie che in comune, forse, avevano ben poco.

AuthorEmanuele COSTA
Published byBacherontius n° o4/Dicembre 2015 con il titolo «Oltre la crisi c'è speranza?»