19 April 2016

Globalizzazione e Offshoring: quali sono i potenziali effetti su occupazione e salari? (prima parte)

Premessa
Durante la mia permanenza in Inghilterra, presso la prestigiosa University of Essex, ho avuto l’opportunità di realizzare alcuni lavori di approfondimento su tematiche di economia internazionale di forte attualità. Nello specifico, si tratta di argomenti che, ogni anno, emergono con prepotenza quasi a voler ricordare che nulla è stato fatto per risolvere le questioni o, in alternativa, che non si è ancora trovata alcuna soluzione a problematiche che interessano da vicino, direttamente o indirettamente, sia i Paesi in via di sviluppo, sia quelli sviluppati. Uno dei temi sui quali ho voluto concentrare l’attenzione è quello della cosiddetta “globalizzazione”, vista, da alcuni, come la causa di tutti i mali dell’economia e, da altri, come la principale imputata nel processo contro la persistente crisi economica. Ovviamente, è necessario sempre tenere a mente che ciò che sembra, non sempre coincide con la realtà. Da qui la crescente curiosità di indagare a fondo eventuali relazioni tra globalizzazione e politiche di offshoring per verificare, sotto il profilo teorico, gli effetti su occupazione e salari. Quando si affrontano tematiche di questo tenore, la speranza è quella di dar vita ad un acceso dibattito. Pertanto, eventuali opinioni in disaccordo non potranno altro che dimostrare di aver centrato l’obiettivo.

Abstract
La teoria del commercio internazionale suggerisce che quando un Paese trasferisce parte della sua produzione all’estero, l’impatto sui lavoratori in quel Paese, nel lungo periodo, può essere positivo o negativo. Questo studio analizza, teoricamente, le conseguenze occupazionali e salariali nei paesi sviluppati indotti dalle politiche di delocalizzazione adottate negli ultimi trent’anni. Il principale obiettivo è quello di verificare se il processo di globalizzazione possa considerarsi la principale causa della disoccupazione o, in alternativa, se abbia giocato un ruolo chiave nella crisi economica che persiste nei paesi occidentali.

Sommario
1. Introduzione - 2. Parola d’ordine: globalizzazione - 3. Offshoring: esportare occupazione per ridurre i salari interni? - 4. Conclusioni - 5. Bibliografia.

1. Introduzione
Gli effetti prodotti dalla crisi economica del 2007 si possono considerare più catastrofici di quelli generati, nel 1930, dalla cosiddetta “Grande Depressione”? L’attuale e persistente crisi economica sembra avere origini antiche o, meglio, più di un padre. Per queste ragioni non è facile fare un confronto tra i due fenomeni perché, pur essendo simili nominalmente, in realtà differiscono sotto molti aspetti. Nello specifico, nel 1930 lo scenario era profondamente diverso, nel senso che la crisi economica aveva interessato un ristretto numero di Paesi (in modo particolare Stati Uniti e nazioni europee) e traeva origine dal settore industriale. Forse, è per queste ragioni che oggi le persone preferiscono parlare di “crisi globale” e non semplicemente di “crisi economica”. Infatti, nei paesi occidentali, lo scenario degli Anni Trenta si colloca dopo la Prima Guerra Mondiale e un periodo relativamente breve di espansione economica, mentre oggi, nei Paesi industrializzati, il contesto nasce da un periodo di circa sessant’anni di pace, durante il quale i Paesi sviluppati hanno avuto la possibilità di sfruttare varie opportunità generate da una graduale integrazione economica, costruendo, contestualmente, le fondamenta della attuale fase recessiva. Quindi, il problema sembra avere un solo perdente: il mondo industrializzato, che, per decenni, ha migliorato, più o meno, il suo livello di benessere. Attualmente, i Paesi sviluppati stanno ancora lottando per uscire dalla recessione, mentre le economie meno sviluppate si trovano a fare i conti con una crescita economica sostenuta. Quindi, ha ancora senso parlare di “crisi globale”? In genere, le persone tendono a considerare un fenomeno negativo solo quando si verifica nei Paesi occidentali. Stati Uniti ed Europa sono investiti da una crescita economica debole o negativa e, conseguentemente, l’opinione pubblica si (auto)convince di trovarsi in recessione. Al contrario, Cina e India (che, tra l’altro, sono anche le nazioni più popolate del pianeta) stanno registrando alti tassi di crescita economica. In altre parole, all’interno di questi due paesi la “crisi globale” non esiste o, nella peggiore delle ipotesi, si tratta di una crescita economica più debole rispetto agli anni precedenti. Si tratta, però, pur sempre di crescita e non di recessione! Analizzando il contesto storico, i paesi sviluppati hanno iniziato ad andare in crisi nei primi Anni Novanta, in seguito alla fine della Guerra Fredda, al collasso dell’Unione Sovietica e all’avvio del processo di “occidentalizzazione” dell’Europa Orientale. Si è trattato, in pratica, del primo passo verso la cosiddetta “europeizzazione” dell’economia o, letto in altri termini, una sorta di globalizzazione su scala europea. Quindi, alla luce di ciò, si può affermare che la fine della Guerra Fredda, con la creazione di nuove opportunità economiche, ha determinato il processo di globalizzazione? Secondo LEWIS e MOORE (“Globalization and the Cold War: the Communist Dimension”, Management & Organizational History, Volume 5, n° 1, 2010), la globalizzazione esisteva già prima della fine della Guerra Fredda ed aveva due obiettivi. Il primo, perseguito dai paesi occidentali ed era orientato al mercato. Il secondo, portato avanti dai paesi comunisti ed era orientato al collettivismo. Quindi, è chiaro che dopo la fine della Guerra Fredda c’era solo un’unica via per interpretare questo fenomeno e la caduta del Comunismo ha contribuito ad accelerare i processi di liberalizzazione, le aperture commerciali e, conseguentemente, la globalizzazione. Comunque, forse, una grande spinta verso la globalizzazione è stata data dieci anni prima, negli Anni Ottanta, grazie alla cosiddetta “reaganomics”, in altre parole alla politica economica del Presidente americano Ronald REAGAN, imperniata sullo sviluppo economico trainato dall’offerta e non dalla domanda aggregata come previsto dalle teorie economiche Keynesiane. Quindi, dopo un breve excursus sulla teoria del commercio internazionale, questo saggio si focalizzerà sulla globalizzazione e agli stretti legami con la delocalizzazione. In secondo luogo, lo studio indagherà gli effetti positivi e negativi prodotti dalle politiche di offshoring, cercando di valutare eventuali legami con i salari. (continua)

AuthorEmanuele COSTA
Published byBacherontius n° o1/Aprile 2016 con il titolo «Globalizzazione: quali effetti su occupazione e salari?»