29 April 2012

Nella Pubblica Amministrazione non servono "veterinari"

Nel piano “e-government 2012”, realizzato dal Ministro per la Pubblica Amministrazione e Innovazione Renato BRUNETTA, sono tracciate le linee guida di alcuni progetti innovativi, che si propongono di rilanciare l’attività dell’intero Settore Pubblico, annullando quel ritardo tecnologico, che costituisce uno dei principali fattori scatenanti l’inefficienza amministrativa. Il progetto, ambizioso per contenuti e finalità, se perseguito con particolare caparbietà applicativa consentirà alla Pubblica Amministrazione di effettuare quel salto di qualità necessario per migliorare le prestazioni, ridurre i tempi di attesa e garantire un ampio accesso agli atti da parte di Cittadini e Organizzazioni, attraverso la diffusione della capacità di utilizzo delle tecnologie informatiche. In altre parole, il target sarà quello di disegnare un percorso attraverso il quale l’intero Settore Pubblico possa gradualmente liberararsi da quella “palla al piede”, che, da più parti, è considerata la causa principale che rallenta l’intero sistema produttivo, per diventare motore trainante dello sviluppo economico nazionale. Occorre, in sintesi, recuperare quel ritardo accumulato negli anni attraverso una riorganizzazione amministrativa capace di comprimere gli oneri di funzionamento della macchina burocratica e liberare energie per rafforzare, congiuntamente, competitività, crescita e occupazione. In realtà, il piano si spinge oltre, facendo riferimento al superamento (e non al solo recupero) del deficit temporale accumulato, per sancire chiaramente che l’obiettivo non è quello di stare al passo con i tempi, ma, addirittura, “giocare in anticipo” rispetto alle aspettative latenti. Statisticamente, la Pubblica Amministrazione incide sulla ricchezza prodotta dal Paese per circa il 20% con la discriminante, rispetto alle altre realtà, che si tratta di un settore protetto e non soggetto a regole concorrenziali. Infatti, è opinione condivisa che il Settore Pubblico, non operando in regime di libera concorrenza, non riceva dal mercato quegli stimoli che, in linea con la teoria del condizionamento classico, lo spinge ad agire attraverso l’adozione di comportamenti finalizzati alla produzione di beni e/o erogazione di servizi più efficienti, ottenuti attraverso un’oculata combinazione di risorse e, in definitiva, riducendo gli sprechi. Ragionando per assurdo, si potrebbe anche sostenere che l’assenza di concorrenza costituisce un falso problema se giustamente collocato all’interno di una filosofia di pensiero, che analizza la fattispecie da un’angolazione differente. E’ possibile affermare che la Pubblica Amministrazione, sia essa locale o nazionale, pur operando in monopolio sul territorio di competenza, si colloca oggettivamente in diretta concorrenza con altre realtà simili (Comuni, Province, Regioni o Stati), perché il successo di una specifica politica amministrativa può misurarsi attraverso un tasso di soddisfazione dei bisogni dei Cittadini migliore rispetto a quello degli altri operatori. Così inquadrato, il concetto di concorrenza entra ugualmente in gioco, estendendo l’interpretazione del fenomeno ad una rilevazione della competizione non più imperniata sui costi sostenuti per la produzione di beni/servizi, ma sui risultati raggiunti nella loro erogazione. Operando in questa direzione, sarà possibile confrontare i procedimenti attuati dalle singole Amministrazioni Pubbliche, mettendo in evidenza “best practice”, ossia gli esempi migliori di gestione amministrativa, che andranno a costituire il parametro di riferimento per la misurazione delle performance. Il fallimento dell’azione amministrativa, per contro, troverà quantificazione nel ritardo con il quale si affrontano le esigenze dei Cittadini, che sono attuali e chiedono risposte tempestive, in linea con il pensiero del Ministro Renato BRUNETTA che, più volte, ha chiamato in causa la tecnologia per consentire di collocare il Cittadino al centro dell’azione amministrativa. Questa è la sfida che la Pubblica Amministrazione dovrà affrontare nei prossimi anni. Il ritardo accumulato nel passato ha assunto dimensioni insopportabili e sarà necessario “inserire la quarta” o, in alternativa, “togliere il freno a mano”, per lanciare la Pubblica Amministrazione in una corsa allo sviluppo tecnologico, capace di produrre solo risultati positivi in termini di risparmio di risorse pubbliche. La fotografia di oggi è una rappresentazione che evidenzia una Pubblica Amministrazione ancorata ad investimenti informatici obsoleti, con ripercussioni negative sui servizi offerti agli utenti del Settore Pubblico. Innovare, com’è scritto nel piano ministeriale «non significa procedere all’acquisto di macchinari, prevalentemente informatici, da mettere al servizio delle cose che già si fanno per continuare a farle sempre nello stesso modo», ma occorre agire sul coeffiente di produttività, affinché dal suo miglioramento possa derivare una riduzione dei costi operativi. In sostanza, il piano “e-government 2012” si propone di agire sulla combinazione tra risorse umane e tecnologiche, rendendo indispensabile sviluppare percorsi formativi utili per una sua corretta implementazione nel sistema organizzativo. Sarà necessario sviluppare all’interno dell’Ente competenze e conoscenze per iniziare a costruire l’impalcatura di un’Amministrazione digitale, non essendo più ammissibile l’esistenza di Uffici dotati di tecnologie arretrate dove l’utilizzo degli applicativi informatici sono ignorati perché le Amministrazioni non hanno destinato risorse agli investimenti in corsi di formazione. Il processo di alfabetizzazione informatica è oggi sempre più necessario sia all’interno dell’Ente, sia tra la popolazione, in modo che ogni Cittadino possa interagire con gli Uffici direttamente da casa senza perdere tempo in coda allo sportello e, contemporaneamente, evitando di far perdere tempo agli addetti per operazioni che non richiedono più l’intervento umano diretto. Ad ogni Cittadino che ne farà richiesta, sarà fornita una  Posta Elettronica Certificata (PEC) gratuita e senza spese, con la quale sarà possibile entrare in contatto con gli uffici pubblici per fare qualsiasi tipo di richiesta o di prenotazione, in tempi rapidissimi e senza ritardi. Purtroppo, ancora oggi, ciò che colpisce l’attenzione è la presenza di montagne di carta che riducono lo spazio e costringono gli operatori a lavorare in ambienti ristretti e poco salutari, comportando, altresì, un dispendio di tempo e di energie per l’archiviazione, la ricerca e la produzione di un documento. Ciò che non si riesce ancora a comprendere è che la maggior parte dei costi dei procedimenti attivati dalla Pubblica Amministrazione trova dimora nella carta utilizzata e nel tempo dedicato per la sua materializzazione. Se la parola d’ordine è, quindi, “dematerializzare” gli atti per sviluppare un’Amministrazione digitale, occorre essere consapevoli che esistono Dirigenti restii al cambiamento che, al contrario, impongono la proliferazione di appunti, post-it e altri strumenti solo per lasciare traccia di ciò che si fa, perché l’unica cosa che la loro cultura conosce di digitale sono le impronte. Il beneficio che deriva dalla dematerializzazione dei documenti è immenso e non si limita solo a quello connesso alla riduzione dei costi della produzione amministrativa, ma impatta anche sulla riduzione dei tempi dedicati all’archiviazione fisica degli atti e alla loro ricerca. Ma se negli Uffici pubblici si vorrà continuare ad imporre l’uso della lingua burocratese, allora non ci si dovrà meravigliare quando si afferma orgogliosamente di avere la squadra migliore e poi, di fronte all’interrogativo sulla necessità di inserire all’interno una “best practice”, ci si sente rispondere che di veterinari la Pubblica Amministrazione non ne ha bisogno!
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Semplice11/Novembre 2009 con il titolo «Nella Pubblica Amministrazione non servono "veterinari"»

23 April 2012

Politica monetaria espansiva: genesi dei problemi?

La teoria macroeconomica consolidata ha trasmesso, nel corso degli anni, la profonda convinzione che un aumento quantitativo della massa monetaria in circolazione generi automaticamente un innalzamento del tasso di inflazione. L'incremento dei prezzi, a sua volta, produce un effetto "dannoso" sulla dimensione reale della moneta poiché si traduce in una riduzione del potere di acquisto dei consumatori. Per i Paesi aderenti alla moneta unica europea, la leva della politica monetaria non è più in mano ad ogni singola Banca Centrale, ma è manovrata da un solo organismo sovranazionale decisore di matrice comunitaria, la Banca Centrale Europea (BCE), che con strumenti di azione diversificati impatta più o meno direttamente sul mercato delle attività finanziarie. E' sufficiente richiamare alla memoria la storia recente, dal momento in cui il comportamento adottato dall'Istituto governato da Mario DRAGHI si è orientato verso la progressiva apertura dei rubinetti del credito, inondando di liquidità le diverse economie nazionali sovrane. Questo "fenomeno alluvionale" di natura monetaria trova alimentazione da due differenti fonti: innanzitutto quella che nasce da operazioni di mercato aperto, l'altra che sorge dall'allentamento dei flussi che sgorgano dalla diga creditizia. Il primo modello interventista, iniziato nell'agosto del 2011, ha interessato l'acquisto sul mercato secondario dei titoli del debito pubblico di quei Paesi membri investiti da un'onda di piena speculativa senza precedenti. Il rischio - calcolato - che al fenomeno in questione potesse affiancarsi quello connesso ad un più generale panic selling con effetti destabilizzanti incalcolabili, ha indotto la BCE ad agire sulla leva della politica monetaria. In altre parole, era necessario ma non sufficiente, evitare che gli effetti depressivi sulle quotazioni dei titoli del debito sovrano di uno stato membro si propagassero a quei paesi con i conti pubblici in ordine, minandone alla base gli indici di solvibilità finanziaria del loro stock di bond governativi in circolazione ed in corso di emissione. La BCE ha iniziato, così, a tessere una ragnatela per intrappolare all'interno dell'eurozona quegli Stati che, se lasciati liberi di volare durante il tornado speculativo in atto, avrebbero potuto essere spazzati via, mettendo a repentaglio sia le radici storiche, economiche, sociali e politiche che hanno portato faticosamente alla costruzione della casa comune europea, sia, in ultima analisi, la stessa sopravvivenza dell'Istituto Centrale Europeo, che avrebbe perso le ragioni della sua esistenza, con il rischio di essere declassato a semplice organismo di indirizzo e/o consultivo. Quindi, lo strumento della politica monetaria espansiva si configura come la soluzione dei problemi oppure, più acriticamente, come la genesi degli stessi?
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Il Nuovo Picchio3/Marzo 2012 con il titolo «Politica monetaria espansiva: genesi dei problemi?»

19 April 2012

Incarichi esterni: necessaria un’analisi feedforward

L'articolo 46 del Decreto Legge n° 112/2008 (come modificato dalla Legge di conversione n° 133/2008) ha rincarato la dose, in senso stringente, sulla facoltà degli Enti Locali di affidare incarichi a soggetti esterni. Infatti, anche se il procedimento amministrativo fosse impostato nel rispetto del dispositivo di cui all’articolo 7 - comma 6 - del Decreto Legislativo n° 165/2001, occorre ritoccare la fase istruttoria, integrandola con motivazioni che tengano conto anche dei vincoli precisati dalle nuove norme. In altre parole, dal coordinamento delle due fonti dell’ordinamento giuridico emerge, con maggiore enfasi, che l’Ente Locale  non solo deve essere privo di quelle competenze professionali, che fanno maturare la decisione di ricorrere all’aiuto di un soggetto esterno (articolo 7 - comma 6 - del Decreto Legislativo n° 165/2001), ma l’orientamento della scelta discrezionale in quella direzione deve essere supportata, già in sede istruttoria, da una dimostrazione oggettiva:
a) dei vantaggi concreti che l’Ente otterrà dall’affidamento [articolo 46 - comma 1, lettera a) - del Decreto Legge n° 112/2008, come modificato dalla Legge di conversione n° 133/2008];
b) dell’assenza di risorse umane interne disponibili ad eseguire la prestazione oggetto dell’affidamento [articolo 46 - comma 1, lettera b) - del Decreto Legge n° 112/2008, come modificato dalla Legge di conversione n° 133/2008].
Quindi, le iniziative che precedono l’effettivo affidamento dell’incarico dovranno contenere osservazioni di tipo “feedforward” in merito alla prospettata utilità che deriverà all’Ente dall’operazione posta in essere. Non sarà più accettabile una semplice giustificazione a posteriori dei benefici indotti dall’affidamento dell’incarico, qualora si debba rispondere di danno erariale dinanzi alla competente Sezione Giurisdizionale della Magistratura contabile. Infatti, la coerenza dell’oggetto della prestazione con le esigenze dell’Amministrazione affidataria è facilmente dimostrabile solo nel caso in cui l’attività posta in essere dall’incaricato rientra tra quelle considerate “istituzionali”. A maggior ragione, l’accertamento di assenza di disponibilità da parte di risorse umane interne all’Amministrazione dovrebbe essere documentata nel concreto, evitando il ricorso a supposizioni che in astratto immaginano il pensiero, la professionalità, le competenze e le intenzioni altrui. La novità della norma consiste nell’aver tenuto conto della numerosa giurisprudenza della Corte dei Conti in materia di conferimento di incarichi. L’obiettivo del legislatore è stato quello di vestire giuridicamente le motivazioni contenute nelle diverse sentenze della Magistratura contabile, riducendo, così, lo spazio interpretativo, spesso soggettivo, da parte delle Amministrazioni Locali. Peraltro, proprio una fase istruttoria che contenga e illustri analisi prospettiche, sarà di ausilio alla successiva opera di verifica sulla regolare fornitura della prestazione. Si potrà, così, procedere ad una eventuale contestazione oggettiva sull’operato, mettendo in discussione la liquidazione dei compensi nel caso in cui i problemi alla base dell’intervento esterno non siano stati eseguiti nel rispetto di quanto stabilito ex ante. Operando in questa direzione, l’Ente Locale otterrà un duplice beneficio:
a) da un lato, potrà evitare di essere chiamato in causa dalla Magistratura contabile per aver deliberatamente sperperato risorse pubbliche attraverso affidamento di incarichi inutili;
b) dall’altro, avrà la certezza che i soggetti incaricati si impegnino nell’esecuzione dei compiti assegnati, pena il mancato pagamento dei corrispettivi pattuiti.
Pare non sussistere alcun problema per gli incarichi esterni svolti a titolo gratuito: dalla lettura delle norme in materia, emerge esplicitamente il richiamo all’erogazione di un compenso. In questo caso, quindi, al collaboratore potrà essere riconosciuto anche un rimborso spese, valutando attentamente che non si tratti di un meccanismo messo in atto per eludere la volontà del legislatore.
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Semplice2/febbraio 2012 con il titolo «Incarichi esterni: necessaria un'analisi feedforward»

10 April 2012

Serve un nuovo Patto di Stabilità e Crescita

Ad Aquisgrana, in occasione della consegna del premio "Charlemagne 2011" all'attuale governatore della Banca Centrale Europea [all'epoca dell'articolo era Jean-Claude TRICHET - nda] il presidente della Commissione europea, José Manuel BARROSO, ha sottolineato che l'indebolimento del Patto di Stabilità e Crescita equivale ad «una mancanza di solidarietà verso il progetto europeo e verso le nuove generazioni». Ormai sono più di dieci anni che si parla di Patto di Stabilità. In questo lasso di tempo, anziché apportare degli accorgimenti alle politiche economiche in modo da avvicinare o centrare gli obiettivi originariamente prefissati, sono state spesso modificate le regole del gioco. Operando in questa direzione, il cambiamento dei parametri e meccanismi di calcolo, a politiche economiche immutate, ha consentito all'obiettivo di andare incontro alle aspettative e non viceversa. A distanza di tempo, questa distorsione nel modus operandi ha fatto sorgere alcuni interrogativi, alla luce dei risultati disattesi. Infatti, se si è reso necessario ed opportuno ritoccare le regole del Patto di Stabilità e Crescita in corso d'opera, allora o non erano stati sufficientemente approfonditi i benefici che il suo rispetto avrebbe consentito di concretizzare, oppure le politiche economiche portate avanti con pervicace convinzione in tutti questi anni non sono state capaci di realizzare né la stabilità dei conti pubblici (viste le recenti crisi che hanno investito i debiti sovrani di alcuni Stati membri dell'Unione europea), né uno sviluppo economico (alla luce di miserabili tassi di crescita del Prodotto Interno Lordo). A cosa sono servite allora le politiche incentrate prevalentemente sul rigore del bilancio pubblico se poi queste non hanno mai incontrato limiti invalicabili? A cosa sono serviti i vari provvedimenti volti ad incentivare la crescita e lo sviluppo se poi oggi ci si ritrova con un esercito di disoccupati numericamente maggiore rispetto a prima? Forse sono maturi i tempi per una profonda riflessione sulla validità del Patto o sui meccanismi ai quali si è ispirato e che non hanno funzionato. In alternativa, si eviti di fare retorica, affermando di pensare alle generazioni future, continuando a sperimentare politiche economiche i cui effetti sono determinati dal manovrare una leva (economica, politica, sociale) collegata con il nulla.
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Il Futurista del 25 luglio 2011 con il titolo «L'Unione Europea pensi a un nuovo Patto di stabilità e crescita»

6 April 2012

Nullafacenti: il valore di una risorsa latente



Affrontare un argomento di così forte attualità, senza correre il rischio di calamitare qualche critica, non è compito di facile soluzione, in quanto occorre misurare con la dovuta attenzione la giusta dose di pensiero razionale da miscelare con quella a contenuto prevalentemente emotivo. Quando, poi, l’intenzione è quella di scrivere qualcosa che sembra proiettarsi controcorrente, si genera automaticamente un’esplosione di energie mentali con la finalità di fare emergere le potenzialità nascoste in un fenomeno, anche se la minaccia cui si va incontro è quella di innescare una reazione a catena, al termine della quale l’intorno circostante ha subito dei mutamenti, trasformandosi in un ambiente ancora più ostile. Nonostante tutto, accettare una sfida così delicata non costituisce peccato, anche perché, avviare una discussione oggettiva su una tematica ampiamente consultata nell’enciclopedia amministrativa, è sempre una fonte preziosa di vitalità intellettuale. L’obiettivo, quindi, che ci si prefigge di raggiungere è quello di spingere il lettore verso una forma di rilassamento per migliorare, riducendo la tensione accumulata, la comprensione critica dei concetti presentati. Infatti, se colto da un improvviso raptus di agitazione, limitasse la sua visione prospettica alla semplice interpretazione letterale del titolo, potrebbe farsi un’idea sbagliata sull’approfondimento, rispetto a quello che, al contrario, manifesta. Il “nullafacente”: un termine sverginato agli occhi dell’opinione pubblica, che si presenta con prepotenza sulla scena in tutte le occasioni dove l’oggetto del contendere affronta il brandPubblica Amministrazione”. Un segno distintivo che, anziché consistere in un vantaggio competitivo utile alla crescita del Paese, si configura come la principale causa del drenaggio di ricchezza nazionale, perché i costi sostenuti per fornire prestazioni alla collettività sono superiori al valore contenuto nelle stesse. L’argomento, che oggi è quotidianamente agli onori della cronaca, ha visto la luce oltre un anno fa, grazie all’uscita nelle librerie dell’affascinante opera scritta dal Professor Pietro ICHINOI nullafacenti», Mondadori, 2006). Un libro che, con una chiarezza terminologica fuori dal comune, ha messo in evidenza un fenomeno già conosciuto (e volutamente ignorato) all’interno della Pubblica Amministrazione, ma, soprattutto, portato a conoscenza di quei soggetti che con il Sistema Pubblico sono costretti a rapportarsi. Una locuzione, quella coniata dal giuslavorista, a forte impatto emozionale, un vero e proprio “warning” con il quale l’autore concentra costantemente gli sforzi per trovare una soluzione condivisa a quella che, come recita il sottotitolo, costituisce la «più grave ingiustizia della nostra Amministrazione Pubblica». Oggi, l’espressione gettonata che ha messo in allarme i dipendenti pubblici, può considerarsi migliorata e aggiornata, perché, come per qualsiasi processo relativo all’evoluzione della specie, anche la terminologia primitiva si è perfezionata, portando a individuare tre tipologie di soggetti che possono rientrare nella più ampia famiglia dei “nullafacenti”. Quindi, può essere utile operare la seguente distinzione:
a)   nullafacente “puro” (o “di razza”): ossia il vero parassita che infesta gli ambienti pubblici, per il quale l’unico sistema di valutazione idoneo per qualificarlo è quello di derivazione anglosassone, che fonda le sue radici nell’elephant test. Si tratta, come suggerito dal Professor Pietro ICHINO, di un esame che «i giuristi anglosassoni contrappongono alle nostre disquisizioni bizantine, nei casi in cui non ce n’è alcun bisogno: se vedi un elefante, non occorrono tecniche di valutazione sofisticate per qualificarlo come elefante» (Pietro ICHINO, «I nullafacenti», Mondadori, 2006). Appartiene a questa categoria il cosiddetto “fannullone”, nel cui DNA non è presente alcuna traccia di propensione all’attività lavorativa;
b)   nullafacente “ibrido”: in altre parole un soggetto che, erroneamente, potrebbe essere considerato alla stregua del “fannullone”. Si distingue, tuttavia, per essere dotato di un patrimonio genetico sano sotto il profilo della dedizione al lavoro, che, purtroppo, ha subito alterazioni a causa della permanenza prolungata in un ambiente culturalmente avverso. Rientra in questa specie quel lavoratore dolosamente mortificato, demansionato, umiliato e professionalmente deprezzato, minandone la credibilità fondata sulla conoscenza e competenza, con l’obiettivo di escluderlo dal sistema organizzativo. Aderisce a questa classificazione il cosiddetto “mobbizzato”, la cui vitalità è stata ridimensionata in modo da rendere sterile il tasso di produttività;
c)   nullafacente “embrionale”: vale a dire un individuo che per meritocrazia è entrato a far parte della numerosa schiera dei dipendenti pubblici e, quindi, pur essendo dotato di quell’entusiasmo necessario per migliorare lo status quo, è stato sottoposto, dalla nascita professionale all’interno della Pubblica Amministrazione, alla terapia del “si fa sempre così e bisogna continuare a farlo”. Si tratta di quel dipendente che, convinto dei processi di miglioramento da apportare all’Ente Pubblico, si è rivelato ben presto un personaggio scomodo al vertice burocratico/amministrativo e, conseguentemente, condannato ad essere inoperoso. Rientra nel concetto il cosiddetto “demotivato”, in quanto avendo la capacità di trovare soluzioni alle diverse criticità gestionali nell’esclusivo interesse dell’Ente, non si è fatto distrarre da altre forme di pruriti, inibendo quel fattore che stimola il rendimento.
Mentre nei confronti della prima categoria di “nullafacenti”, in altre parole i “fannulloni”, non bisogna farsi contagiare dalla commozione che viene loro riservata da chi ha il potere di prendere provvedimenti, quelli rientranti nelle altre due fattispecie costituiscono una “risorsa latente” da motivare e valorizzare, anziché destinarla a ricercare forme di sviluppo dell’arte dell’ozio per far passare la giornata lavorativa. Si tratta, quindi, di quel prezioso capitale intellettuale in grado di apportare sensibili miglioramenti al tasso di produttività e che, al contrario, viene lasciato nella naftalina (nullafacente “ibrido”) o nell’incubatrice (nullafacente “embrionale”) perché la frustrazione del vertice impedisce loro di sprigionare quelle professionalità capaci di far cambiare marcia al passo burocratico che caratterizza il cammino lungo il percorso di sviluppo della Pubblica Amministrazione. Le recenti direttive del Ministro Renato BRUNETTA emanate nella direzione di migliorare la qualità sia del lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione, sia, soprattutto, dell’outcome erogato alla collettività, unitamente a quelle proposte dal giuslavorista Pietro ICHINO sono considerate, forse, troppo “avanti” rispetto al livello culturale esistente e, per questo, non comprese nel loro reale significato. Purtroppo, occorre prendere coscienza che quando si propone una novità, qualunque ne sia il contenuto, il risultato induce sempre una buona dose di resistenza. Di fronte all’orientamento al cambiamento che ha investito la Pubblica Amministrazione, si possono percepire due tipologie di sensazioni:
1)      la prima, di “speranza”: nel senso che finalmente qualcuno ha avuto il coraggio e il sostegno di adottare delle decisioni in materia di lavoro all’interno della Pubblica Amministrazione per allontanare quelle “cariatidi” che ostacolano il processo di miglioramento funzionale dell’Organizzazione Pubblica. Sicuramente occorre ancora trovare quel punto di equilibrio che consente di interpretare nella direzione voluta le intenzioni di fondo che, forse, non traspaiono dalle direttive;
2)      la seconda, di “preoccupazione”: poiché nel nostro Paese accade spesso che ogni norma partorita per perseguire una finalità, è sempre distorta in sede applicativa, con la conseguenza di allontanare l’intenzione del legislatore dalla realtà che sarà messa in pratica. Così facendo, il pericolo sarà quello di eliminare dalla Pubblica Amministrazione proprio quelle risorse latenti che, in quanto soggetti scomodi, viene loro imposta l’emarginazione spingendoli ad entrare nel concetto di “nullafacenti”.
Ciò che forse inquieta le risorse umane intellettualmente oneste che si trovano, per cause non dipendenti dalla loro volontà, a vegetare in questa situazione, è che al termine del processo di riforma della Pubblica Amministrazione i cosiddetti “fannulloni” siano confusi con quelli che, non essendo attratti da interessi secondari, costituiscono la vera eccellenza. Pertanto, i provvedimenti di lotta contro il “nullafacente” non devono essere indirizzati solo alla base, per avere la certezza del successo, ma anche recapitati al vertice, perché il danno indotto da effetti persecutori ha incidenza negativa sulla produttività dell’Ente e si propaga sui costi della Struttura Pubblica. Se questo è lo stato dell’arte, allora le prospettive formulate non sono poi da considerare così “avanti” poiché già due secoli fa il filosofo tedesco Arthur SCHOPENHAUER si era espresso affermando: «Dovunque e comunque si manifesti l’eccellenza, subito la generale mediocrità si allea e congiura per soffocarla».
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Semplice9/Settembre 2008 con il titolo «Nullafacenti: il valore di una risorsa latente»