30 January 2012

Controllo di Gestione: a chi interessa?

Ultimamente da più parti si è alzato un grido di allarme sull’inefficienza che, indisturbata, continua a regnare sui procedimenti amministrativi all’interno della Pubblica Amministrazione. Situazione critica, che si traduce nel drenaggio di risorse pubbliche per non generare alcun valore aggiunto a vantaggio di coloro che indirettamente finanziano la macchina burocratica. L’argomento non è percepito solo dagli addetti ai lavori più sensibili al problema, ma emerge con tutta la sua potenza nell’attuale contesto permeato da un quadro economico non entusiasmante, con la maggior parte dei Contribuenti che fatica a pareggiare i conti di fine mese. Per tentare di comprenderne le ragioni, potrebbe essere utile ricorrere ad uno strumento di mercato che, attraverso una timida indagine, rivolga agli attori che recitano la loro parte nel palcoscenico amministrativo, una semplice domanda: «Cosa impedisce l’adozione di scelte razionali in grado di produrre benefici per tutti i protagonisti, pubblico compreso?». Non è facile concepire un’ipotetica risposta sensata ad una questione così banale, perché quando l’agire consiste in qualcosa che in natura si definisce “ovvio”, le menti ancestrali, che ancora oggi vegetano nell’ambiente, fioriscono sentenze incantevoli, che, tradotte in fatti concreti, camminano lungo la stessa direzione che da decenni percorre la Pubblica Amministrazione: quella che sfocia in un vicolo cieco. Una quantità ingente di risorse sono sottratte, ogni anno, ai Cittadini con il lodevole obiettivo di trasformarle in prodotti/servizi idonei a soddisfare i bisogni in misura sempre crescente e differenziata. In altre parole, il Cittadino vuole avere la certezza di aver pagato un biglietto per assistere ad una recita nella quale il tema centrale della sceneggiatura è costituito dall’interesse verso il pubblico e non solo quello derivante dall’amministrazione dell’incasso del botteghino. Oggi gli Amministratori pubblici (politici e burocratici) sono chiamati a gestire risorse non solo finanziarie e strumentali, ma anche tecnologiche e temporali e, soprattutto, umane. Una loro oculata combinazione potrebbe far fuoriuscire quel valore aggiunto tanto atteso, dimostrando che le scelte effettuate sono state operate ad esclusivo vantaggio della collettività. Accade, invece, che il copione sia stato lasciato volutamente in bianco, consentendo all’improvvisazione di prendere corpo, affinché si possa giustificare l’insoddisfazione del pubblico (alias l’incapacità amministrativa), imputando la responsabilità a risorse non adeguate per consentire la produzione di uno spettacolo di successo. Eppure non si dovrebbero incontrare difficoltà nello sfruttamento di qualcosa che già esiste: al massimo si potrà investire un po’ di tempo nella lettura del libretto di istruzioni, per apprendere l’utilità derivante dall’uso di uno strumento. Anziché far supportare il processo decisionale da coloro che hanno l’abilità di indagarne e processarne a priori gli effetti, gli Amministratori preferiscono affidarsi ad altri stimoli, ascoltando i rumori di fondo che da anni riecheggiano nei corridoi, per azionare leve il cui meccanismo di funzionamento è collegato con il nulla. In altre parole, prediligono farsi portare a destinazione da soggetti che per anni hanno guidato la gestione amministrativa, piuttosto che prendere in considerazione la remota possibilità che, se nel tempo non è stato fatto alcun progresso, le responsabilità sono da ricercare tra coloro che si sono affidati a collaudati sistemi di gestione e non a quelli ai quali è impedito di sperimentare e applicare nuovi metodi. Se il Controllo di Gestione ancora oggi tarda ad acquisire consensi tra gli Amministratori più evoluti, la resistenza va ricercata negli individui sui quali ripongono la fiducia, perché è meglio farsi illudere che un obiettivo si possa realizzare, piuttosto che farsi dimostrare l’impossibilità del suo raggiungimento. Non è quindi fuori luogo chiedersi a chi giova veramente l’attività del Controllo di Gestione, in quanto è difficile far condividere che si tratta di uno strumento che indaga e processa le variabili partorite dal processo decisionale, costituendo un fattore critico di successo per ogni forma di politica pubblica, svincolata da altri interessi. Se, al contrario, si ritiene che non siano ancora maturi i tempi per implementare strumenti di controllo all’interno dell’Ente è perché ci si è fatti convincere che i problemi si possono risolvere con le risorse che già esistono all’interno, senza ulteriori investimenti in processi riorganizzativi. In altre parole, meglio continuare con ciò che si conosce, evitando di prestare ascolto ai suggerimenti di quell’illustre “sconosciuto” che risponde al nome di Albert EINSTEIN, quando sosteneva che: «Non possiamo pensare di risolvere i problemi con lo stesso modo di pensare che li ha generati».
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Semplice12/Dicembre 2011 con il titolo «Controllo di Gestione: a chi interessa?»

23 January 2012

A che gioco si sta giocando?

Ogni volta che si decide di affrontare di petto la problematica degli aiuti ad un Paese o delle misure per sanare una situazione critica, puntualmente le Agenzie di rating intervengono, con precisione quasi chirurgica, per affossare gli interventi correttivi adottati e annullando, conseguentemente, parte degli sforzi che si dovranno compiere per migliorare quella circostanza. Perché? Cosa si nasconde dietro un comportamento strategico del genere? Le ipotesi sul tavolo sono differenti. In primo luogo, visto il regime di monopolio territoriale in cui operano le Agenzie di valutazione, uno degli obiettivi potrebbe essere quello di abbassare i rating degli altri paesi per consentire agli USA di sopportare, in maniera indolore, un downgrade del proprio debito sovrano e conservare ugualmente una posizione di primato sul mercato dei capitali, sfruttando tassi di interesse relativamente più bassi. In seconda istanza, una delle ipotesi potrebbe essere quella di provocare un calo nelle quotazioni azionarie ed obbligazionarie per consentire, attraverso vendite allo scoperto, la speculazione al ribasso e riacquistare i titoli a prezzi di mercato più vantaggiosi, lucrando sul differenziale senza conservarne alcuno in portafoglio al termine delle operazioni di scambio. Infine, una delle congetture potrebbe essere quella di rendere inutili le politiche correttive adottate, deprimendo la situazione economica in quei paesi interessati, facilitando così la ripresa e gli investimenti al di là dell’oceano. Di fronte a queste supposizioni, manca però un anello di congiunzione. Chi è il regista? Mentre l’effetto domino indotto dal fallimento della banca d’affari Lehman Brothers ha investito il settore privato, con ripercussioni negative limitate alla vita degli operatori coinvolti (dipendenti, finanziatori, investitori), il default di uno Stato (specie se non circoscritto all’interno dei suoi confini nazionali) produce un effetto destabilizzante più esteso, che non investe esclusivamente i diretti interessati, ma si allarga a macchia d’olio attraverso disordini sociali e spinte eversive. In uno scenario del genere, chi ha la possibilità di decidere, a che gioco sta giocando? Ma soprattutto a che livello è arrivata la partita?
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Il Futurista del 27 luglio 2011 con il titolo «Nel gioco delle agenzie di rating»

16 January 2012

Per il Sindaco onere e non onore

Quando si matura la convinzione di candidarsi alla carica di Primo Cittadino, generalmente si volge lo sguardo a quella stella polare che, nell'interesse pubblico, trova l'energia necessaria per continuare a brillare nella costellazione dei problemi quotidiani. Quando, invece, si prende coscienza di aver vinto le elezioni, il campo visivo dovrebbe allargarsi, trovando, all'interno di una galassia, altre materie prime da "sfruttare" per formulare politiche pubbliche idonee a creare valore aggiunto per i Cittadini, nei confronti dei quali si ha l'onere (e non l'onore) di governare. Ciò non vuole assolutamente significare una forma di mancanza di rispetto nei loro confronti, bensì esattamente il contrario. "Onere", in quanto il governo di una Comunità comporta un'attenzione nei suoi confronti e, soprattutto, sacrifici di ogni natura, che potranno essere convertiti in "onore" solo quando il comportamento adottato sarà orientato a migliorare il benessere dei suoi appartenenti. La realtà, purtroppo, ci ha abituato ad altri scenari. Siamo lontani anni luce da quel concetto di "politica pubblica" che Bruno DENTE e Giancarlo VECCHI hanno magistralmente definito come «l'insieme di azioni compiute da una pluralità di attori volte a risolvere un problema collettivo, ossia a fornire una soluzione ad un bisogno, a una domanda o un'opportunità non soddisfatta». Infatti, ad oggi, se si prende in considerazione il contenuto della propaganda effettuata sulle opere realizzate (attraverso volantini, video od altri strumenti mediatici), è facile prendere atto non solo che di politica pubblica non vi è alcuna traccia, ma (e questa è la cosa triste) di soluzioni ai bisogni della Collettività nemmeno l'ombra. Quindi, è alquanto offensivo dell'intelligenza dei Cittadini vantarsi di aver realizzato "grandi opere" per cercare di dimostrare di aver fatto un "buon lavoro". Infatti, non serve impegnarsi a fondo per guardarsi in giro ed accorgersi che nulla è cambiato in termini di benessere per i Cittadini, i quali ogni giorno si trovano costretti a confrontarsi con problemi che la Pubblica Amministrazione non ha contribuito a risolvere, perché "distratta" da quelle opere che di "grande" hanno solo l'entità del debito (e non della ricchezza) che hanno assorbito. Purtroppo, quell'interesse pubblico che aveva stimolato l'idea della candidatura alla guida della Città, strada facendo ha perso sia l'interesse, sia l'attenzione per il pubblico. C'è solo da augurarsi che lungo quella strada dove è possibile ammirare le "grandi opere" realizzate non ci crolli addosso quel Domus dei Gladiatori su scala locale che avrebbe richiesto solo una "piccola opera" di manutenzione.
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: http://cambiamentoorg.blogspot.com il 17 novembre 2010 con il titolo «Per il Sindaco onere non onore»

12 January 2012

Se non si affronta il presente, sarà un museo degli orrori

L’ampia eco che le ultime vicende hanno avuto sui media nazionali ed internazionali rispecchiano fedelmente l’interesse che la compagine governativa riserva ai problemi che quotidianamente accerchiano, in un abbraccio sempre più soffocante, il sistema economico. Da una lato, la creazione di ricchezza, evidenziata dalla statistiche sul PIL (Prodotto Interno Lordo), che stenta a consolidare una direzione di marcia in salita e, dall’altro, l’aumento, ormai consuetudinario, del debito pubblico hanno esteso la crisi, contagiando la creatività nelle idee in materia di politica economica. Le ultime novità annunciate riesumano modelli di imposizione fiscale che vanno a colpire attività produttive che, invece di essere stimolate, saranno destinate a deprimersi ulteriormente. Anziché dirigere lo sguardo in avanti per guidare l’economia fuori dalla stagnazione ed elaborare nuovi strumenti per consentire l’incremento delle entrate pubbliche, senza gravare sulle tasche dei contribuenti, si continua a guardare nello specchietto retrovisore, manovrando persistentemente quella leva fiscale che rischia seriamente di innestare la retromarcia. Le entrate tributarie stanno sempre più collassando, non solo in termini quantitativi, con la complicità di una congiuntura sfavorevole, ma anche sotto il profilo qualitativo, essendo drenate per fronteggiare un servizio del debito pubblico sempre più esigente. Un loro utilizzo per offrire maggiori o migliori servizi ai Cittadini non solo è residuale, ma si configura come un miraggio ad un orizzonte che si allontana a vista. Procedendo di questo passo i nostri titoli di stato potranno reggere il confronto con i più solidi bund tedeschi, ma solo nominativamente, perché saranno metaforicamemte appellati “bung”. Di fronte ad uno scenario così poco rassicurante è naturale che si rivolga lo sguardo indietro, anziché al futuro. E’ più facile rievocare i fantasmi del passato o rispolverare gli scheletri nell’armadio, piuttosto che impegnarsi per risollevare le sorti di un tasso di fiducia che ha raggiunto il minimo storico. Non c’è da stupirsi se oggi la politica funziona in questo modo. Se si continua a rimandare il momento in cui si deciderà di affrontare con serietà il discorso sulle prospettive di crescita dell’Italia, il rischio è quello di doversi addentrare in un museo degli orrori!
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Fare Futuro Web Magazine del 24 gennaio 2011 con il titolo «Se non si affronta il presente, sarà un museo degli orrori»

7 January 2012

Politiche locali: chi ne beneficia?

Come è possibile leggere ogni volta sui quotidiani notizie dalle quali traspare l’incapacità di amministrare un Comune? E’ un dilemma che spesso ci perseguita in quanto, in qualunque direzione si orienta la personale opinione, si scopre che i problemi continuano ad esistere, senza che ad essi si associ una soluzione definitiva. Non è facile entrare nel merito delle scelte di politica pubblica poiché, spesso, le decisioni che scaturiscono sono la risultante dello scontro di forze al vertice, per fare in modo che l’equilibrio interno rimanga invariato, piuttosto che di energie che, facendo oscillare la bilancia, partoriscono conseguenze in grado di produrre gli effetti desiderati. E’ così che il Cittadino, sfogliando le pagine del giornale per conoscere quali importanti decisioni impatteranno sul territorio locale (anche se la situazione non muta a livello nazionale), scopre che nulla è risolto. Anzi, è facile che si stanchi la vista a furia di assistere a continue polemiche su ciò che un’Amministrazione fa o non fa per la comunità che governa. Senza entrare nel dettaglio di alcune fattispecie che riguardano il pubblico agire nel suo pieno significato del termine (di cui validi esempi si trovano nelle pagine che precedono questa lettura), si percepisce una perenne insoddisfazione, perché le decisioni sono assunte per celare la vera identità della finalità che si intende perseguire e non per risolvere problemi reali, quelli vicini al Cittadino ed alle sue necessità. La volontà di agire per il benessere collettivo è oculatamente mascherata in modo da rendere gradevole le sembianze del corpo che porta avanti le decisioni. Ciò che però è esternato, purtroppo, è sempre il prodotto di una serie di compromessi, piuttosto che di una condivisione convergente su concreti obiettivi realizzati e preceduti da analisi costi/benefici, in cui l’esito si è risolto a favore di questi ultimi. Non si tratta di fantapolitica, perché in fondo non occorre tanta fatica. Anziché sbandierare al popolo di essere onorati di appartenere alla squadra che ha saputo garantire il mantenimento degli equilibri (e anche dei problemi), sarebbe più opportuno far tesoro di alcuni suggerimenti alternativi: quello dello scrittore americano Arthur BLOCH, quando sostiene che «il lavoro di équipe è sempre essenziale, perché consente di dare colpe a qualcun altro» o, se si preferisce, quello del teologo statunitense Tryon EDWARDS, quando afferma che «il compromesso non è altro che il sacrificio di una cosa buona o giusta fatta nella speranza di conservarne un’altra, anche se spesso si finisce per perderle entrambe».
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Il Secolo XIX del 27 luglio 2008 con il titolo «Politiche locali, benefici non sempre al cittadino»

5 January 2012

Altro che frutta! Stiamo pagando il conto

Fa un certo effetto vedere, al di là del titolo di per sé allarmante, la copertina del 14 luglio 2011 della rivista "The Economist". E' la prova provata che un messaggio visivo colpisce il bersaglio con maggiore incisività rispetto ad un discorso articolato che si propone di esporre la medesima circostanza. Infatti, il titolo («On the edge. Why the euro crisis has just got a lost worse» - «Sul precipizio. Perché la crisi dell'euro è peggiorata»), da un lato, mette in guardia direttamente i Paesi che hanno adottato l'euro come moneta unica e, dall'altro, impatta indirettamente su tutti gli Stati membri dell'Unione Europea. La copertina, invece, non è solamente inquietante, ma univocamente indirizzata ad un solo paese dell'area euro: l'Italia! Fa impressione vedere il Belpaese raffigurato come una protesi di un precipizio che si sta sgretolando, con le due isole maggiori già in caduta libera, come a rappresentare due massi che si sono staccati dalla roccia sotto il peso schiacciante della moneta simbolo dell'euro, in un precario equilibrio sul bordo del baratro. L'Italia si trova al terzo posto nella classifica dei paesi più indebitati al mondo e questo primato mette in luce con prepotenza il rischio cui va incontro la stabilità economico/monetaria dell'Unione Europea. Tutt'altra faccenda se messa a confronto con lo stock di debito pubblico dei paesi riuniti sotto l'acronimo PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna), che hanno già subito gli attacchi speculativi sul debito sovrano, i cui effetti, fino ad oggi, si sono propagati con minore intensità sulle altre economie europee. Se le tensioni sui mercati finanziari dovessero scaricarsi sull'Italia, si innesterebbe una reazione a catena dagli esiti imprevedibili. Occorre non solo agire tempestivamente, ma farlo anche con oculatezza e profondo senso di responsabilità, riprendendo in seria considerazione la cancellazione dei privilegi della casta, che non hanno alcuna utilità se non per i diretti interessati e concorrono esclusivamente a dilatare la dimensione della spesa pubblica oltre a gonfiare ulteriormente il debito pubblico. La recente manovra licenziata dal Governo, ormai è un dato di fatto, non va certamente nella giusta direzione. Il paradosso, osservando la copertina dell'Economist, è che questo provvedimento consentirà al paese e all'euro di fare un passo in avanti!
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Il Futurista del 20 luglio 2011 con il titolo «Altro che frutta, stiamo pagando il conto»

1 January 2012

Se fare politica è un carnevale organizzato da Pantalone

Non passa giorno senza che gli organi di informazione lancino messaggi allarmanti sulla situazione economica internazionale, con riflessi più o meno preoccupanti per i conti pubblici nazionali e, di riflesso, locali. Qualche mese fa è toccato alla Grecia, in questi giorni all’Irlanda. Mancano all’appello ancora tre paesi il cui indebitamento presenta sensibili squilibri: l’Italia, il Portogallo e la Spagna. C’è solo da augurarsi che l’ordine prescelto dalla ruota della fortuna non segua rigorosamente quello alfabetico, altrimenti non sarebbe necessario l’intervento di una cartomante per conoscere il paese a cui toccherà il turno domani. Eppure in Italia esistono e sono esistiti personaggi che del rigore nell’amministrare la finanza pubblica hanno fatto il loro cavallo di battaglia. Su quelli viventi è difficile esprimere un’opinione, perché le contrapposizioni di modelli non trovano consenso unanime. Su quelli ormai passati a miglior vita si potrebbe resuscitare Giacomo MATTEOTTI, che, nella sua pur breve carriera, indipendentemente dal credo politico, era l’incubo dei Sindaci e dei Segretari Comunali. La sua maniacale attenzione agli equilibri di bilancio era imperniata sul rispetto di quella compatibilità, che oggi si potrebbe tradurre con sostenibilità, dei preventivi di spesa con le risorse pubbliche a disposizione. Uno dei principi cardine della sua politica era quello secondo il quale in assenza di mezzi finanziari l’Ente non doveva indebitarsi, ma più banalmente rinunciare alla spesa. Un convinzione che, oggi, troverebbe ampie divergenze di vedute, se non conclamate incompatibilità, con qualsiasi Amministratore Pubblico, molto più attento a mantenere alti il tasso di visibilità quotidiana ed il coefficiente di clientelismo acquisito, piuttosto che in equilibrio il documento sul quale sono costruite le politiche pubbliche locali. Fare politica allo stato attuale è come andare ad una festa di Carnevale, dove tutto è organizzato da Pantalone. Il secondo pensiero politico ruotava intorno all’utilizzo della leva fiscale, da manovrare per finanziare le opere pubbliche, qualora le entrate disponibili si fossero rivelate insufficienti. Oggi, questa strada, se perseguita rischierebbe di tradursi in un boomerang, in quanto da anni si parla in tutte le lingue di riduzione della pressione fiscale, e non l’opposto, per rilanciare una economia asfittica attraverso la ripresa dei consumi. E’ facile, quindi, constatare come all’interno di ogni Ente manchi quel senso di responsabilità capace di spingere tutti gli Amministratori a cercare le risorse all’interno di quelle esistenti, seppure scarse, attraverso una riduzione degli sprechi. Quello che un Sindaco serio e credibile dovrebbe comprendere e far comprendere ai membri della sua Giunta è che la riduzione della spesa della struttura amministrativa non implica necessariamente una riduzione di potere. Rappresenta, al contrario, un biglietto da visita di più alto valore, in grado di spalancare il portone del consenso. Liberare risorse dall’interno per destinarle ad oculati investimenti a beneficio dei Cittadini sembra, tuttavia, troppo difficile da attuare. In primo luogo, perché occorre essere in possesso della giusta conoscenza e competenza, dimostrando di esserne capace. In secondo luogo, l’attività da svolgere richiederebbe fatica e voglia di lavorare. E’ molto più elementare, invece, depauperare il patrimonio pubblico attraverso svendite per far cassa, piuttosto che farlo rendere, così come è semplicistico ricorrere all’indebitamento che porsi questioni per evitare di farsi nemici all’interno dell’esecutivo. Pertanto, è normale che alla fine chiunque si chieda dove si collochi il problema. La naturale conseguenza è che i Cittadini si trovano sempre costretti ad aprire il portafoglio per sostenere silenziosamente i costi delle scelte effettuate da altri. Ma ora che l’acqua è arrivata alla gola, ha senso chiedersi se è potabile?
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Fare Futuro Web Magazine il 28 novembre 2010 con il titolo «Se fare politica è un carnevale organizzato da Pantalone»