25 February 2012

Controllo di Gestione: l'importanza della classificazione dei costi

Qualsiasi Organizzazione (pubblica o privata) per lo svolgimento della propria attività necessita di fattori produttivi/risorse il cui valore di acquisizione assume la denominazione di “costo”. Pertanto, per consentire alla Pubblica Amministrazione di pervenire alla conoscenza dell’onere che dovrà sostenere per l’erogazione di beni/servizi si rende opportuno procedere ad una preventiva classificazione dei costi. L’operazione si propone un duplice obiettivo:
a) il primo, legato alla verifica delle caratteristiche del costo, per valutarne le potenziali dinamiche;
b) il secondo, indirizzato al corretto utilizzo delle informazioni catturate, per consentire l’attività di ribaltamento.
Infatti, per procedere al più idoneo collocamento dei costi all’interno delle unità responsabili del loro sostenimento è necessario:
a) classificare i costi;
b) individuare la tecnica di ribaltamento più idonea.
La classificazione dei costi riveste all’interno dell’Organizzazione Pubblica un’importanza di rilievo, in quanto dalla conoscenza delle peculiarità degli oneri relativi alle risorse produttive impiegate è possibile prevederne l’andamento, supportando il processo decisionale del vertice politico e/o amministrativo. Inoltre, una volta raggruppati i costi per classi omogenee, si avranno tutti gli elementi per individuare la tecnica di riparto più appropriata per il successivo ribaltamento degli oneri, che consentirà di definire il costo di erogazione di un prodotto/servizio. Sarà curioso verificare come l’adozione di un procedimento di riparto, piuttosto che un altro, potrà condurre verso l’emersione di un risultato differente, con tutte le implicazione che la scelta tra diverse alternative comporta. E’ importante sottolineare che una volta individuata la soluzione più adeguata a rappresentare il costo di un bene/servizio erogato, questa non subisca, secondo criteri di opportunità politico/amministrativa, mutamenti di imputazione da un esercizio all’altro. Infatti, per quanto sia importante la conoscenza del costo di erogazione di un bene/servizio, è altrettanto fondamentale poter effettuare comparazioni temporali, al fine di permettere una valutazione di efficacia, efficienza ed economicità dell’intero processo amministrativo sfociato nella fornitura di quel bene/servizio. Non esiste in dottrina una classificazione dei costi tale da potersi ritenere esaustiva, anche perché ogni Organizzazione presenta peculiarità differenti rispetto ad altre, con la conseguenza che non tutte le caratteristiche di un onere possono essere idonee a soddisfare le esigenze informative interne. Infine, è opportuno tenere sempre in primo piano che non esiste una corrispondenza univoca tra una voce e la sua appartenenza ad una specifica classificazione. La comprensione del comportamento di un costo servirà per coadiuvare l’apprendimento del fenomeno circa l’attività che lo genera.
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Semplice1/Gennaio 2012 con il titolo «Controllo di Gestione: l'importanza della classificazione dei costi»

23 February 2012

Crescita dei consumi o finanziamento del debito pubblico?

Il 2011 è visto da molti osservatori come l’anno nel quale la ripresa economica manifesterà i suoi effetti. Forse perché la tendenza di ogni crisi è quella di invertire la rotta dopo qualche anno di congiuntura sfavorevole. Il primo mese, però, è già trascorso e una luce in fondo al tunnel non è ancora percepibile ad occhio nudo. L’aumento dei consumi, indicatore dello sviluppo, non fa registrare ancora sintomi di miglioramento, rappresentando un segnale inequivocabile che i comportamenti dei consumatori si sono modificati. La conferma arriva da una recente indagine, che ha messo in evidenza la debolezza del reddito disponibilie, scendendo rispetto all’anno precedente. Una inversione di marcia che la memoria storica rimanda a quindici anni fa! Il dato allarmante è che l’incidenza riduttiva è superiore alla media nelle regioni del Nord Italia, da sempre considerate la locomotiva dello crescita. Alla luce di queste premesse, un interrogativo rimane ancora senza risposta. Come aspettarsi un aumento dei consumi se il reddito disponibile ha raggiunto lo stallo e rischia di precipitare? Scendendo nel profondo dell’analisi, qualche contraddizione si trova nello stesso sistema economico nazionale. Capita spesso, infatti, di leggere retribuzioni milionarie erogate a individui che occupano posizioni di rilievo nel Paese. Così di fronte ad una maggioranza di Cittadini costretta a tirare la cinghia per arrivare a fine mese, risparmiando sui generi alimentari o tenuta in ostaggio dalle rate di mutuo, esiste una minoranza di persone che, al contrario riesce a tesaurizzare ingenti capitali che, alla luce dell’evidente stato dei fatti, non sono investiti per accendere il motore della ripresa. La realtà mette così di fronte a due fattispecie distinte di una medesima questione:
a) da un lato, una maggioranza di persone che non dispone di risorse per incrementare i consumi, con un reddito disponibile (in calo), drenato dalla soddisfazione dei bisogni primari o dal rimborso delle rate di mutuo;
b) dall’altro, una minoranza di soggetti che dispone di ingenti risorse che non si ribalta né sui consumi personali (la cui soddisfazione è ormai satura), né sugli investimenti produttivi che non hanno prospettiva di rendimento.
Poiché gli investimenti produttivi non registrano tassi di crescita, complice la stagnazione dei consumi, è ipotizzabile che questo surplus di reddito in mani a pochi sia indirizzato al finanziamento dell’ingente stock di debito pubblico, la cui crescita, al contrario, non ha mai conosciuto la parola “crisi”. Quindi, è questa la fonte di risparmio interno che garantisce la sottoscrizione delle nuove emissioni di titoli sovrani? Se così fosse, allora non ci sarebbe alcun dubbio sul fatto che dovranno passare ancora molti anni affinché il reddito della maggior parte degli Italiani possa tornare a crescere. Infatti, una politica dei redditi espansiva rappresenterebbe una seria minaccia alla stabilità economica interna, perché se questo maggior reddito fosse dirottato sui consumi, allora si renderà necessario reperire altrove le risorse per finanziare gli investimenti produttivi che contribuiscono alla crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL). Se queste risorse da destinare allo sviluppo fossero sottratte al finanziamento del debito pubblico, allora il rischio di un default sarebbe sicuramente più elevato di quello attuale. Siamo entrati in un circolo “vizioso” (e non virtuoso) particolamente delicato dove una politica dei redditi espansiva, oltre a generare spinte inflazionistiche, anziché generare un benessere migliore nei Cittadini, potrebbe portare al fallimento dell’intero sistema economico, facendolo collassare su sé stesso. Se non si agisce con opportuna oculatezza per uscire da questa impasse, la scossa all’economia alzerebbe il rischio di provocare un black out.
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Fare Futuro Web Magazine del 23 febbraio 2011 con il titolo «Per evitare il rischio black out, tuteliamo gli investimenti produttivi»

18 February 2012

Controllo di Gestione: il budget come strumento a supporto delle decisioni

A partire dai primi anni Novanta, il legislatore ha dedicato particolare attenzione al contenuto normativo di alcuni provvedimenti, partorendo disposizioni i cui effetti erano destinati ad impattare sui sistemi gestionali degli Enti Pubblici, sia sotto il profilo amministrativo, sia sotto l’aspetto contabile. Nel contesto organizzativo attuale, pur essendo profondamente diverso dal passato, si tende a considerare, erroneamente, “amministrazione” e “contabilità” come due momenti distinti della gestione e spesso in competizione tra loro, dimenticando di valorizzare quelle componenti di trasversalità che, al contrario, li caratterizzano e ignorando le sinergie positive che da una loro simbiosi potrebbero manifestarsi. Questa filosofia di pensiero, nella quale è possibile riconoscere ancora oggi l’agire della maggior parte dei manager pubblici, ha rappresentato una delle fonti dalla quale si è costruito e diffuso il modello di gestione “burocratico”, imperniato sul preciso adempimento di formalità e applicazione letterale di norme. Uno stile direzionale simile a quello accennato impedisce lo sviluppo di comportamenti costruttivi, critici, dinamici e innovativi. In altre parole, non è richiesto l’approccio al problem solving, poiché la soluzione esiste e risiede nella monotona ripetizione di attività già svolte, che sono completamente disinteressate agli effetti prodotti dall’azione amministrativa nei confronti dei Cittadini. Infatti, l’organizzazione della struttura pubblica di stampo burocratico pone l’accento sul rispetto di alcune logiche, purtroppo ancora ben radicate e difficili da estirpare, che consentono di esprimere valutazioni positive alle prestazioni eseguite (anche se prive di utilità), perché assumono come parametro di riferimento esclusivamente il rispetto della procedura e non il risultato prodotto dalla sua applicazione. In sintesi, le questioni sono quotidianamente affrontate senza ponderare a monte i potenziali effetti che un provvedimento amministrativo potrebbe manifestare, perché al dipendente pubblico incaricato della fase istruttoria è richiesto di “fare e compilare” e non di “pensare e risolvere”. In presenza di uno scenario in continua evoluzione, non è più accettabile che la Pubblica Amministrazione sia governata con le stesse regole: occorre abbandonare la referenza alla formalità per lasciare spazio ad un modello di gestione orientato al risultato. In questa direzione, l’azione amministrativa sarà in grado di far percepire ai Cittadini che le risorse sottratte con il risparmio forzoso sono indirizzate a garantire la fornitura di servizi idonei a soddisfare i loro bisogni e non quelli di coloro che manovrano le leve decisionali. E’ giunto il momento che il personale pubblico, inteso nel più ampio significato del termine (Amministratori, Dirigenti e Dipendenti), inizi a sviluppare una condotta improntata all’empatia, prendendo coscienza delle caratteristiche e aspettative della comunità di riferimento, affinché le iniziative intraprese siano univocamente attente a reali necessità e non diano ascolto ad altre esigenze. Sono maturi i tempi per implementare un processo di miglioramento continuo, consapevoli che potrebbe far emergere non poche criticità gestionali e con la convinzione che solo da una situazione di disordine, caos o crisi, nasce l’orientamento al cambiamento e, con esso, la possibilità di successo. L’intenzione del legislatore, enucleata nelle norme in materia, non era quella di imporre un cambiamento traumatico, tale da incutere timore negli operatori del settore, ma di tracciare un percorso di avvicinamento alla realtà per svincolare la Pubblica Amministrazione da schemi giurassici calcificati nella mentalità di coloro che operano al suo interno. Al vertice burocratico è semplicemente richiesto di adottare provvedimenti che, se da un lato rispettano la forma, dall’altro contengano valutazioni economiche, idonee a dimostrare che l’attività amministrativa è frutto di analisi preventive e prospettiche (supporto economico) e non di ipotesi campate per aria, sostenute solo giuridicamente. In quest’ottica, il rispetto della forma non deve limitarsi ad attribuire al contenuto letterale del testo normativo esclusivamente il significato delle parole, ma dovrà affiancare l’intenzione del legislatore all’aspetto economico della decisione, affinché la volontà della Pubblica Amministrazione si manifesti con provvedimenti sensati e adottati nell’esclusivo interesse dell’Ente e, soprattutto, del Cittadino. All’interno dell’Organizzazione Pubblica, le menti più illuminate e particolarmente attente alle moderne tecniche di change management hanno finalmente iniziato a percepire che, solo attraverso un efficiente governo della macchina pubblica, sensibili benefici si potrebbero propagare all’intero apparato produttivo del Paese. Operando lungo questo sentiero, con una visione non caratterizzata da miopia strategica, la Pubblica Amministrazione potrebbe avere l’opportunità di non essere più considerata una “palla al piede”, ma il “motore trainante” dello sviluppo economico e del benessere sociale. E’ superfluo richiamare l’attenzione sul fatto che l’essere umano, nell’affrontare il cambiamento, quando sperimenta una iniziativa, tende ad esaltarne gli elementi di bontà, ignorando o sottovalutando le minacce che possono derivare dall’impatto della decisione sull’ambiente esterno/interno, fino al momento in cui si sono tradotte concretamente. Solo allora, attraverso la manifestazione degli effetti, la direzione organizzativa si vedrà costretta a attivare il sistema immunitario con l’adozione di provvedimenti straordinari per fronteggiare l’emergenza. In passato, tuttavia, aver gestito l’approccio ai problemi, siano essi latenti, potenziali od emersi, con disposizioni tampone, ha generato immediati, ma temporanei, benefici, che nel lungo termine sono andati trasformandosi in questioni ancor più gravi, con visibili e mai rimarginate ferite presenti nel tessuto economico/sociale del Paese. Nonostante ciò, commettere errori non deve essere considerato così umiliante, rappresenta un punto di forza che consente, da un lato, lo sviluppo della conoscenza dei fenomeni e, dall’altro, lo sfruttamento della loro attitudine a far emergere aspetti della gestione in precedenza sfuggiti all’analisi: «Se si chiude la porta a tutti gli errori anche la verità resterà fuori» (Rabindranath TAGORE - premio Nobel per la letteratura nel 1913). Pochi Amministratori consapevoli hanno avvertito le enormi capacità che sia la mappatura delle attività, con l’estrapolazione delle loro criticità, sia l’analisi preventiva dei problemi, nella configurazione triologica sopra richiamata, se attuate con ponderata razionalità, potranno costituire un fattore critico di successo per l’azione della Pubblica Amministrazione. Infatti, l’abilità nel trasformare le minacce in opportunità permette di sfidare l’incertezza con competenza e tempestività, convertendola in normale attività ordinaria o addirittura riconducendo l’emergenza ad evento controllabile. In circostanze ambientali come quelle attuali, caratterizzate da continui e istantanei cambiamenti, dove l’innovazione è spinta al punto da rendere obsoleto ciò che fino a ieri si qualificava come progresso tecnologico, gli Amministratori pubblici hanno sempre più necessità di avere a disposizione capacità professionali adeguate e strumenti idonei per manovrare le leve decisionali con ragionevolezza, adeguandole alle mutate esigenze organizzative. La gestione della conoscenza, o knowledge management nella terminologia anglosassone, rappresenta un consistente vantaggio competitivo disponibile gratuitamente all’interno dell’Organizzazione Pubblica: occorre, però, saper valorizzare adeguatamente le persone in possesso del sapere, affinché questo possa generare ricchezza per tutti indistintamente. Peter DRUCKER, famoso economista americano, nell’analizzare la società di oggi, sottolineò come il valore di un’Organizzazione non è più in funzione del suo patrimonio tangibile, ma risiede nel capitale umano/intellettuale e nel suo sapere. In uno scenario così delineato può proficuamente inserirsi l’attività del Controllo di Gestione, che andrà finalmente a rivestire a pieno titolo quel ruolo che in passato non gli è stato riconosciuto, nel senso che mai è stato convocato a partecipare alla competizione gestionale, rimanendo isolato a produrre analisi, prese in considerazione solo per giustificare il lavoro svolto dagli addetti e non per valutare con quali modalità gli obiettivi sono stati raggiunti. Grazie allo studio dei fenomeni, alla loro analisi critica, alla capacità di convertire l’incertezza in evento governabile, il controller avrà l’abilità di trasformare la conoscenza in opinioni, che, solo se informate, potranno tradursi in deliberazioni efficaci. Per queste motivazioni il Controllo di Gestione deve intervenire direttamente nei procedimenti amministrativi, attribuendogli quel ruolo coadiuvante che gli compete e non quello di vendicatore nei confronti di comportamenti dissonanti. Il processo di programmazione (o budgeting), che costituisce parte integrante dell’attività di controllo, è qualcosa che va oltre il “guardare avanti”, poiché consente di verificare e indicare la direzione lungo la quale l’Amministrazione Pubblica svilupperà la propria azione. Nel disegnare al lettore un percorso ragionato di avvicinamento al Controllo di Gestione, la trattazione ha voluto sottolineare l’importanza delle tecniche di budget come strumento sia per misurare i risultati, sia per supportare le decisioni. L’articolo in esame, quindi, non esaurisce le argomentazioni in materia, ma si riconosce come pioniere di una serie a tema, dove saranno fornite esemplificazioni con particolare riferimento alla gestione amministrativa/contabile di un servizio. Non si avrà la pretesa di presentare un modello chiamato a costituire verità assoluta, ma si suggerirà l’evoluzione di un processo costruito e sviluppato all’interno di un Ente Locale con l’obiettivo di rendere controllabile l’incertezza (di natura finanziaria) nascosta dietro la manifestazione di alcuni fenomeni. Si precisa che, con opportuni accorgimenti, qualsiasi procedimento amministrativo fonte di preoccupazione futura potrà essere gestito con criteri logici, garantendo maggiore flessibilità operativa e consentendo di poter dedicare preziose risorse temporali all’approfondimento di altre problematiche più complesse. Si potranno così individuare soluzioni ottimali e risolvere i problemi alla fonte anziché aspettare la loro manifestazione per demandare la decisione, come spesso accade, all’improvvisazione.
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Semplice7-8/Luglio-Agosto 2007 con il titolo «Controllo di Gestione: il budget come strumento a supporto delle decisioni»

11 February 2012

Il dilemma della tassazione

Esiste una errata opinione in merito al concetto di imposizione fiscale. In altre parole, si tende ad associare il significato di “maggiori tasse” a quello di “maggiore equità”, per sottolineare che l’effetto diametralmente opposto, ossia quello imperniato su un minor carico tributario, corre il rischio di accentuare il fenomeno della diseguaglianza. Se si fonda la propria convinzione su questo abbinamento della politica fiscale, è comprensibile che per deduzione si pervenga alla conclusione appena descritta. Infatti, l’enunciato ha una sua derivazione logica poiché nasce dalla ipotesi posta all'origine del suo concepimento. Partendo, appunto, da uno scenario nel quale la diseguaglianza derivi da un preesistente regime fiscale, è opinione diffusa che solo attraverso un intervento mirato a ricalibrarne (in senso incrementale) l'architettura impositiva possa correggere le distorsioni presenti nel sistema economico. In altri termini, anziché estirpare il problema alla radice, perfezionandone i presupposti, è preferibile orientare la decisione di governo verso scelte di second best, ossia situazioni ritenute comunque ottimali, ma nelle quali non tutto ciò che si desidera si può avverare. In pratica, la tesi che persegue questa strada poggia sul fatto che, essendo impossibile eliminare definitivamente la diseguaglianza, solo una maggiore tassazione è in grado di apportare miglioramenti, facendo convergere il sistema economico verso un contesto improntato a maggiore equità. L’alternativa di ridisegnare un impianto fiscale caratterizzato da aliquote impositive inferiori non è mai oggetto di considerazione, perché è ferma la convinzione che l'equivalenza descritta in apertura trova analoga corrispondenza se al termine "maggiore" fosse sostituito il suo opposto. Poiché l'oggetto del contendere è quello relativo al perseguimento dell'obiettivo di una maggiore equità e non quello inerente la riduzione della diseguaglianza, è naturale che per ottenere il risultato atteso sia più facile agire sull'incremento della pressione tributaria. Operare in direzione opposta significherebbe addentrarsi in un ginepraio dagli esiti poco scontati, perché mettere in discussione pratiche consolidate dalla prassi comporta sempre un dispendio di energie superiori ai benefici immaginati. Continuando ad assumere decisioni pubbliche nel rispetto di questa perversa filosofia di pensiero, il rischio è quello di accentuare le iniquità esistenti. Infatti, se il target della maggiore equità si propone di colpire sempre i "soliti noti", ossia quella porzione di popolazione che rispecchia la maggioranza nel rapporto individuato dalla Legge di Pareto, a maggior ragione si può affermare che la ripartizione della ricchezza non segue un andamento probabilistico, ma è influenzato da fattori ambientali. In altri termini, la distribuzione del reddito non dipende dalle abilità dell'uomo qualunque, ma dalle decisioni dell'uomo di governo, che possono generare ulteriori ingiustizie dilatando il fenomeno della diseguaglianza.
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Il Nuovo Picchio1/Gennaio 2012 con il titolo «Il dilemma della tassazione»

8 February 2012

Destra/Sinistra: un dialogo possibile?

E' possibile instaurare un dialogo duraturo tra destra e sinistra? Non si tratta di una utopia o di un sogno di una notte di mezza estate. Se così tanto tempo è infruttuosamente trascorso affinché ciò si avverasse è solo perché il teatrino della politica ha scritturato personaggi deputati a recitare la commedia di chi, nel perpetuarsi della tensione sociale, ha gettato le fondamenta per costruire il proprio successo a scapito degli interessi collettivi. E' fuor di dubbio che destra e sinistra appartengono a due insiemi separati. Ma pur avendo una visione differente della società, queste due dimensioni si intersecano tra loro formando un sottoinsieme di opinioni condivise e da non sottovalutare. Il rispetto delle regole ed il senso delle Istituzioni, care alla destra, non sono incompatibili con la profonda attenzione alle istanze sociali, che fanno parte del DNA della sinistra. Nel confronto tra queste due filosofie di pensiero, fatto anche di toni accesi su questioni delicate nel pieno rispetto dell'altra parte, è possibile individuare soluzioni che incontrano il sostegno di entrambi gli schieramenti. Il riferimento è a quei contenuti che, pur appartenendo a fazioni opposte e spesso collocate ai margini della scena politica, hanno numerosi elementi in comune e non solo per essere ossequiosi nei confronti del proverbiale paradosso che gli estremi si toccano. Molto più banalmente, la connessione è con quei valori che sono compatibili con quelli cui si ispirano entrambe le forze politiche. Si deve abbandonare la cattiva abitudine di voler mettersi a tutti i costi in competizione con l'altra parte per far emergere il migliore. Occorre riuscire a dimostrare di essere tutti capaci di portare avanti proposte e sviluppare idee quando la posta in gioco consiste nel benessere collettivo e non la supremazia di una forza politica sull'altra. Ciò perché dal rispetto delle Istituzioni è possibile sfornare regole condivise, che sono foriere di una dialettica civile fra le due formazioni e dove l'obiettivo finale non è quello di pensarla necessariamente in maniera opposta agli antagonisti, bensì quello di avvicinare le istanze sociali, nei confroti delle quali l'interesse pubblico non si configura né di destra, né di sinistra, ma combacia alla perfezione.
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Il Futurista del 30 giugno 2011 con il titolo «Destra/Sinistra: un dialogo possibile?»

4 February 2012

La via d'uscita passa dal World Economic Forum?

Dal lontano 1971, nell’incontaminata cittadina svizzera di Davos, le cosiddette menti più illuminate del pianeta si  riuniscono annualmente in un think tank per discutere, durante le numerose riunioni di brainstorming, in merito a quelle che possono essere le soluzioni più idonee per risolvere i dilemmi di natura economica. Gli argomenti sul tavolo del World Economic Forum sono molti ed i partecipanti non sono meno. Anche le contraddizioni faranno sentire la loro presenza. Da un lato, l’economia dei “grandi” che arranca ogni giorno, cercando di rimanere aggrappata con le unghie a quei principi e valori cui si ispira il libero mercato e la democrazia di stampo occidentale. Dall’altro, la situazione economica dei “piccoli” che gode di ottima salute, affilando gli artigli per aggredire la crisi internazionale, rincorrendo quelle prospettive di benessere diffuso. L’obiettivo del Forum è quello di approfondire le questioni economiche e sociali con le quali si confronta il mondo. L’anno scorso, si era concluso con una dichiarazione che, alla luce dei risultati raggiunti, può sembrare paradossale: “E’ giunto il momento di ripensare ai valori sui quali il mondo intende ricostruire la prosperità”. Infatti, pur ragionando con il senno di poi, ciò che è stato fatto e le mete traguardate sono sotto gli occhi di tutti. Lo stesso fenomeno della globalizzazione, di cui si parla da oltre un decennio, anziché portare con sé quei benefici indotti dall’apertura dei mercati e degli scambi a 360°, ha, al contrario, esteso l’epidemia dei problemi, il cui contagio si è esteso a macchia d’olio ad una velocità paragonabile ad un battito di ciglia o, per dirla in termini globali, a quella di un click. L’unica certezza è che, al termine dei lavori, tutti saremo impegnati a rincorrere i soliti problemi, perché dal meeting uscirà solo una montagna di parole con la triste constatazione che saranno sempre le stesse. Eppure, intrugli di cervelli ce ne sono: dai gotha della finanza, ai guru dell’economia, per finire con i baroni della politica. Una vetrina internazionale nella quale i manichini da anni indossano gli stessi vestiti. Uno scontro di culture, grazie al quale ognuno ci mette un ingrediente nella speranza di far digerire meglio agli abitanti del pianeta la solita zuppa. Questo è il menù che sarà presentato a conclusione dei lavori. Le medesime questioni condite con una salsa diversa, in modo da far percepire ai comuni mortali la sensazione di dover fronteggiare qualcosa di nuovo. Ma se si osserva attentamente la passerella dei partecipanti, sarà facile accorgersi che il copione recitato sul palcoscenico non è mutato, come i protagonisti chiamati a discutere sui problemi dell’umanità. Riusciranno i nostri eroi a trovare una soluzione? Qualche anno fa, Albert EINSTEIN disse: “Non possiamo pensare di risolvere i problemi con lo stesso modo di pensare che li ha generati.
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Fare Futuro Web Magazine del 28 gennaio 2011 con il titolo «Ma speriamo che da Davos non esca la solita minestra»