3 November 2013

"It's the economy, stupid!"

Quando nei primi Anni ’90 l’America decise di cambiare registro, lo slogan che influenzò l’allora opinione pubblica era, al tempo stesso, banale e profondo. Banale perché non erano necessari anni di studio oppure una conoscenza approfondita della materia per comprendere cosa, nel fare politica, non deve mai essere tralasciato o abbandonato nel dimenticatoio. Profondo perché con quel motto si voleva andare a colpire, con una chiarezza espositiva fuori dal comune, l’attenzione e la coscienza di milioni di americani. Oggi, quel manifesto dovrebbe fare da guida all’intera classe politica italiana (locale e nazionale) impegnata quotidianamente a litigare per assumere decisioni pubbliche che andranno ad impattare negativamente sul futuro non solo delle giovani generazioni, ma anche su quello dell’intera collettività, senza pietà od esclusione di sorta. Qualcuno potrebbe legittimamente osservare che si tratta di un’automatica applicazione della legge della natura, dove è il più forte a prevalere ed il più debole a soccombere, lasciando campo libero ad una schiera di individui senza scrupoli nei confronti di iniziative volte a migliorare il benessere sociale. Ciò si verifica perché i programmi e le proposte elaborati sono spesso il frutto di improvvisazioni guidate da pruriti personali, piuttosto che inquadrati in un contesto che abbracci le effettive esigenze altrui. Non occorrono luminari della scienza, ma è sufficiente un minimo di coscienza, limitandosi a far tesoro del monito lanciato da Albert ACREMANT: «Quando prendiamo una decisione, dobbiamo sempre pensare alle conseguenze che essa avrà sugli altri». Infatti, è in questa ottica che quello slogan usato in campagna elettorale, “It’s the economy, stupid!”, si proponeva l’ambizioso obiettivo di mettere in luce come una politica miope e sterile non avrebbe portato da nessuna parte, se non nella univoca direzione di salvaguardare gli interessi parziali a scapito del benessere dell’intera Comunità. Ed è proprio in uno scenario come quello prospettato che si inseriscono, senza il minimo sforzo, mirabolanti promesse arringate intorno ad un tavolo. Non serve sprecare tempo a studiare quali accorgimenti adottare per la creazione di uno specifico fondo, perché quello è già stato toccato da un pezzo e, forse, è giunta l’ora di iniziare a scavare. L’economia di un paese non è come la gestione di un cassetto dove a furia di arrabattarsi si corre il rischio di rompersi le unghie per poi scoprire, con amara tristezza, che nel fondo si potrà trovare solo qualche granello di polvere se non nulla. Così come è priva di qualsiasi utilità illudere i Cittadini di volerli premiare (con denaro pubblico) se dimostreranno di essere “virtuosi”, ossia se rispetteranno i principi e le regole che si ispirano alla convivenza civile. Uno squallido tentativo per ringraziarli di ergersi a “cittadini modello” in una società indisciplinata, contribuendo, con il denaro pubblico, ad alleviare le loro sofferenze tributarie. Peccato che, nel formulare allettanti promesse di puro stampo elettorale/propagandistico, tali da far roteare, come in una slot machine, il simbolo del dollaro nei bulbi oculari dei votanti, spesso sono ignorati elementari principi non solo di equità e giustizia, ma addirittura le più elementari regole del dovere civico cui deve ispirarsi il comportamento di ogni appartenente alla società civile. Senza considerare, in ultimo, quei principi economici che, sulle orme dell’insegnamento del “Rasoio di Occam”, spingerebbero chiunque ad esclamare: “It’s the economy, stupid!”. Le regole, per definizione, vanno rispettate e nessun premio deve essere promesso ed erogato in cambio della loro osservanza. Non fornisce alcun beneficio alla collettività perfezionare l’educazione di chi è già in possesso di questo qualità. Occorre, al contrario, agire per riequilibrare il comportamento di chi ignora l’esistenza della buona condotta. Non servono particolari tecniche per spiegare la validità di una simile teoria. In un concorso a premi il primo classificato sarà sempre, e solo, uno e non sarà mai incentivato a migliorare, perché gli sarà sufficiente dimostrare di essersi comportato un infinitesimo meglio degli altri per ricevere la ricompensa, senza aver contribuito, in contropartita, all’accrescimento del benessere sociale. Inoltre, si è epistemologicamente ignorato l’assioma secondo il quale l’elargizione di un premio con denaro pubblico andrà a peggiorare la condizione sociale non solo dei perdenti, ma anche quella del vincitore. Al contrario, una politica rieducativa, imperniata su strumenti alternativi al sistema delle ricompense, potrà garantire un benessere sociale superiore sia al vincitore, sia, paradossalmente, ai perdenti. Ma non c’è da meravigliarsi di fronte a simili boutade, perché lo stesso Franklin Pierce ADAMS ci aveva già messi in guardia: «Il problema di questo paese consiste nel fatto che ci sono troppi uomini politici che credono, con la certezza che deriva dall’esperienza, che si possa ingannare tutto il popolo in ogni momento».
AutoreEmanuele COSTA
Pubblicato suwww.tigulliana.org (nella Rubrica "Diritto di Parola") del 02 novembre 2013 con il titolo «"It's the economy, stupid!"»

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