In
un sistema economico nel quale le variabili in gioco accentuano costantemente
la loro dinamicità, la Pubblica Amministrazione non può continuare ad affidarsi
a strumenti di gestione antiquati e impostare l’architettura del processo
decisionale basandosi su strutture adatte ad epoche ormai superate. L’aver
operato per anni, se non addirittura decenni, facendo perno su output di difficile o impossibile
misurazione, ha contribuito a calcificare nel pensiero amministrativo la
convinzione che è possibile attribuire un valore al nulla. Da ciò è derivato un
sistema di valutazione delle prestazioni privo di significato, utile solo per
giustificare l’erogazione di retribuzioni variabili svincolate dagli effettivi
risultati conseguiti, in quanto insignificanti o configurabili come tali. Poiché
il processo di trasformazione in atto sembra inarrestabile è, quindi,
inaccettabile che gli obiettivi da realizzare siano, ancora oggi, individuati
ricercando l’esistenza di punti di contatto con una filosofia che si ottiene
dall’esclusiva logica applicativa della regola. Storicamente (Figura n° 1), era la norma a costituire
il fattore motivante, in quanto
rappresentava, all’interno di un quadro di riferimento, un esito perfettamente
conosciuto e aderente alle aspettative e, pertanto, sempre realizzabile
seguendo i passi suggeriti dal testo elaborato dall’autore della legge,
interpretandola alla lettera. In ambito pubblico non era necessario scatenare tempeste neuronali per risolvere i
problemi, ma era sufficiente avere una forma mentis limitata ad
assegnare alle parole contenute in un volume giuridico il medesimo significato
voluto dal legislatore.
In
questo modello, il processo di feedback
è mirato a rivedere il modus operandi per rinforzarlo (positivamente o
negativamente), implicando un’analisi critica della giurisprudenza, anziché
mettere in discussione il procedimento seguito per rispettare l’assioma
normativo. In caso di divergenza tra risultato atteso ed effettivo, il movente
va ricercato nella potenziale distorsione interpretativa del testo di legge e
nulla può essere addebitato al comportamento tenuto dagli operatori. Lo schema
manifesta in tutte le direzioni l’impossibilità di individuare le cause
derivanti dal mancato raggiungimento di un obiettivo, in quanto l’assenza di
movimento decisionale indotta dal legislatore, rende vana la ricerca di
responsabili. In epoche più vicine alla realtà (Figura n° 2), si è compiuto uno sforzo cerebrale per assegnare al target la funzione di stimolo, affinché
il cammino giuridico tracci il comportamento da adottare, per far sfociare, nel
risultato atteso, la conseguenza indotta dall’azione.
Il
modello proposto impone che sia l’obiettivo a sollecitare l’adozione, da parte
degli operatori, di una specifica condotta entro i binari della norma, agendo
nella direzione del soddisfacimento delle aspettative. L’orientamento dello
schema indirizza il meccanismo di feedback
sull’obiettivo, verificando se lo stesso può accompagnare verso lo scenario
desiderato, oppure rende necessaria la sua rivisitazione, spostando, in ultima
analisi, il bersaglio. Se il risultato non è raggiunto, l’illustrazione delle
ragioni va individuata nel recinto del potere decisionale, all’interno del
quale va imputata l’incapacità di governare il cambiamento in atto, che si è
limitato a recepire passivamente la dinamica degli eventi per giustificare, a
posteriori, l’estraneità a responsabilità di gestione. Il fallimento delle due
precedenti impostazioni ha concorso ad elaborare una nuova riflessione mirata
allo sviluppo di un approccio orientato al futuro e costruito approfondendo le
possibili evoluzioni del contesto di riferimento, anziché ancorare le
conclusioni al rispetto delle risultanze del trend storico. In futuro (Figura n° 3), anche se il ritardo lo si
percepisce già, lo stimolo all’azione dovrà essere individuato nel risultato atteso, affinché il modo di
agire accompagni verso un percorso
condivisibile e sostenibile e la conseguenza si concretizzi nell’aver
centrato l’obiettivo.
In
questo caso, il processo di feedback non metterà in discussione né
l’obiettivo realizzato, né l’applicazione di una specifica metodologia, ma la
razionalità dell’aspettativa dei risultati. Infatti, solo mettendo in
discussione i procedimenti adottati fino ad oggi, si potranno toccare con mano
i benefici conseguiti prima che la somma delle opportunità perdute assuma
dimensioni insanabili. Se la strategia è quella di perdere ancora del tempo per
modificare lo stato delle cose prima di sperimentare qualcosa di innovativo,
vorrà dire che si continuerà inutilmente a pretendere nuove soluzioni
applicando tecniche già collaudate. In altre parole, volutamente si ignora che
oltre cinquant’anni fa Albert EINSTEIN aveva sostenuto: «Follia è fare
sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi». Quante
opportunità si devono ancora perdere?
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Semplice n° 5/2011 con il titolo «Controllo di Gestione: qual è il valore delle opportunità perdute? Modelli a confronto»