Il fenomeno della globalizzazione, come ha mirabilmente definito Sergio
GREA («Dentro
l’impresa del duemila»,
Franco Angeli, 1998), porta ad una apparente contraddizione: «Il
mondo si è rimpicciolito ed i mercati si sono allargati».
Tuttavia, è sufficiente guardarsi intorno per scoprire con assoluta
meraviglia che, in realtà, non c’è alcuna inconciliabilità
perché ogni scambio, soprattutto quello delle informazioni, richiede
l’istantanea
durata di un
semplice click.
Questa situazione non può certamente considerarsi un elemento
negativo,
poiché i mercati più lontani sono diventati accessibili a chiunque
alla stregua di
quelli ubicati dietro l’angolo. Ragionare in ottica feedforward
e non più con accentuata miopia strategica consente di adeguare la
propria abilità,
capacità,
competenza,
conoscenza,
esperienza
e professionalità
in tempo reale. In altri termini, ciò significa prosperare
o, nella peggiore delle ipotesi, sopravvivere.
Al contrario, non riuscire o non sforzarsi di capire quello che
accade intorno, trascurandone
volutamente
i segnali, significa la fine
o, comunque, la crisi.
In alter parole,
chi
è in grado di pensare all’impensabile vince!
Dove si colloca allora il problema? La
questione non è incentrata su chi teme l'effetto della
globalizzazione, ma chi, al contrario, non desidera in nessun caso
confrontarsi con gli altri. Occorre
liberararsi di quella classe dirigente arcaica ed obsoleta, che per
paura di soccombere di fronte al progresso, impedisce alle idee in
possesso dei talenti di manifestarsi liberamente. Oggi la
globalizzazione dei mercati ha cambiato il mondo del lavoro. In un
recente passato, le persone ritenevano normale (al
pari di un
diritto inviolabile) trascorrere l’intera vita lavorativa presso il
medesimo datore di lavoro, spesso localizzato nelle vicinanze della
propria residenza. E’ ormai un dato di fatto (che piaccia o meno)
come il passare da un’Organizzazione ad un’altra consente
all’individuo di arricchirsi di nuove esperienze, che gli
consentono non solo di accrescere la propria professionalità, ma di
potersi confrontare con diverse prospettive di carriera. La mobilità
delle
risorse umane
non solo rappresenta la realtà, ma è diventata una vera e propria
esigenza. Non è più ammissibile pensare di vivere sugli allori o
sulle rendite di posizione, ma occorre considerarsi perennemente in
viaggio verso nuove e migliori opportunità. Nulla vieta di
manifestare la preferenza di trascorrere l’intero ciclo di vita
lavorativa in un contesto asfittico, privo di cambiamenti, dove regna
sovrano l’immobilismo assoluto, mettendo in preventivo la
rassegnazione,
ossia senza
pretendere nulla di meglio di ciò che passa il convento. Il mondo
gira sempre più veloce ed in futuro lo sarà ancora di più. Solo
chi, con spirito camaleontico, saprà adattarsi ai nuovi scenari,
cogliendo al volo il treno della prosperità, sarà
in grado di
garantirsi un posto privilegiato in prima fila e configurarsi come
risorsa umana degna
e meritevole
di appartenere al contesto della forza
lavoro occupata.
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Il Nuovo Picchio n° 11/Novembre 2012 con il titolo «Chi teme la globalizzazione?»
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