Che
sensazione si prova quando si decide di lasciare il proprio Paese? Un
interrogativo al quale è arduo fornire una risposta esaustiva o
impulsiva. Infatti, ogni essere umano percepisce, nel proprio intimo,
un sentimento differente da quello di un altro. Spesso, quando il
pensiero si orienta in quella direzione, un brivido indescrivibile
attraversa il corpo, in un mix
di ansia ed eccitazione. Si matura lentamente la consapevolezza di
abbandonare affetti, amicizie, esperienze e ricordi di una vita
passata. Si lascia alle spalle un Paese allo sbando, depredato di
tutte le sue ricchezze da una classe dirigente che, soprattutto negli
anni più recenti, ha manifestato una completa incapacità di
investire nel futuro collettivo, attratta (o volutamente distratta)
da altri interessi più profittevoli. Chi oggi decide di partire dal
Bel Paese lo fa con uno spirito meno avvolto dalla tristezza rispetto
a qualche anno fa. L'inesorabile trascorrere del tempo ha consentito
di maturare una convinzione: ovunque si rivolga lo sguardo non si
dovrà lottare contro una burocrazia che soffoca la libera iniziativa
e, soprattutto, la meritocrazia, con l'obiettivo di preservare
all’infinito rendite di posizione. Dovunque si vada non occorrerà
combattere contro meccanismi arruginiti che necessitano di
lubrificante ogni volta che si desidera muovere gli ingranaggi. Chi
oggi si volta indietro riesce a scorgere solo un sistema economico
manovrato da cariatidi della politica e da lobbies
che
non hanno intenzione di comprendere che è giunta l'ora di farsi
definitivamente da parte. Occorre depurare definitivamente quella
società nella quale la loro presenza è solo di intralcio a coloro
che, guardando avanti, riescono a scorgere ancora una flebile luce in
fondo al tunnel.
Peccato che,
attualmente, mano a mano che l'uscita si avvicina, anziché ampliare
la prospettiva di una visione migliore, rischia di oscurarsi sempre
di più. Viene allora da chiedersi che senso abbia investire energie
in un Paese che non ha la volontà di allargare l’orizzonte perché
ciò che conta è il campanile di appartenenza o, peggio ancora,
l’orticello di casa propria. Oltre l’Italia c’è un’immensa
prateria di giovani che hanno fame di apprendere, di crescere, di
migliorare e di osservare, sotto una differente angolazione, i
benefici che derivano dalle diversità culturali, uscendo dalla
quotidianità di un andazzo opportunistico. Oggi, se un giovane pensa
ad un futuro in Italia ha difficoltà a riconoscersi in quel Bel
Paese ricco di prospettive. Può solo tradurre correttamente in
realtà l’incipit
di una poesia di Pablo NERUDA: «Lentamente
muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli
stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non rischia e cambia
colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce».
Se questà è l’Italia che si sta costruendo per affrontare il
futuro, allora siamo proprio nella giusta direzione indicata dal
poeta sudamericano.
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Il Nuovo Picchio n° 9/Settembre 2012 con il titolo «Goodbye Italy, quando si deve lasciare il proprio paese»
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