E’
inutile nascondere che, in un’economia di mercato, il profitto
segnala all’impresa la capacità di sopravvivenza nella giungla
concorrenziale. Una risorsa generata dalla gestione che attesta il
successo di una formula imprenditoriale e manifesta la remunerazione
del capitale investito in una specifica attività. Ciò che, però,
lascia ancora qualche margine di perplessità è quella situazione in
cui il Comune rinuncia ad amministrare direttamente beni/servizi,
come la risorsa idrica, per cedere al privato anche l’opportunità
di conseguire ulteriori benefici dal rialzo dei prezzi di vendita.
Anziché governare in proprio l’incremento tariffario, destinando i
maggiori introiti al miglioramento di servizi essenziali senza
chiedere nuovi sacrifici ai Cittadini o riducendo la pressione
fiscale, si preferisce eliminare dalla filiera quelle attività non
istituzionali dalle quali, miracolosamente, solo il privato sembra
avere le capacità di creare ricchezza. La risposta al dilemma è
banale: con la cessione al mercato degli acquedotti pubblici si
voleva perseguire l’obiettivo di salvaguardare l’erogazione del
servizio, rendendolo, al tempo stesso, più efficace ed efficiente,
con la conseguente finalità di abbattere i costi operativi ed, in
ultima analisi, l’onere a carico del Contribuente. Peccato che, di
fronte ad un proposito così lodevole, oggi i Cittadini si chiedono
cosa non abbia funzionato. In altre parole: siamo sicuri che il
privato ha saputo sostituirsi al soggetto pubblico, migliorando la
gestione del servizio idrico e, a posteriori, la soddisfazione del
cliente? Ciò che in passato era assicurato da una gestione
burocratica, inefficace, inefficiente, poco orientata al cliente, ma
a buon mercato, oggi è garantita da altri soggetti, con la triste e
unica conseguenza che l’elemento discriminante tra le due gestioni
(pubblica e privata) è rappresentato dal prezzo pagato ogni volta
che si apre il rubinetto dell’acqua. L’interrogativo che rimane
ancora senza risposta è che, probabilmente, gli aumenti tariffari
siano serviti, prima, per assicurare un immediato rientro al capitale
impiegato e, poi, per finanziare altre forme di investimento. In
aggiunta a ciò, spesso si dimentica che la politica
di outsourcing dei servizi pubblici pesa in doppia
misura sulle tasche dei Cittadini: attraverso aumenti di prezzo,
decisi dal privato, e maggiori imposte per coprire i costi dei
servizi istituzionali, deliberati dal pubblico. Il Cittadino può
però stare tranquillo: la gestione dell’acquedotto è rimasta
una fonte di liquidità!
Autore:
Emanuele COSTA
Pubblicato
su:
Il
Secolo XIX
del 13
settembre 2008
con il titolo «Gestione
dell'acqua: questione di "liquidità"?»
No comments:
Post a Comment