Non si tragga in errore il lettore dall’effetto visivo generato dalla
combinazione di parole dalle quali scaturisce il titolo dell’articolo, ma
l’incoerenza è stata appositamente voluta e studiata per suscitare nella
sensibilità umana quello shock intellettuale dal quale successivamente
si spera possa svilupparsi uno spirito costruttivo di approccio ai problemi
della Pubblica Amministrazione. Ad alcuni sicuramente verrebbe però da
domandarsi il perché dell’utilizzo della parola “incoerenza”. Non è
forse vero che il personale pubblico, inteso nel senso più ampio del termine
(amministratori, dirigenti, dipendenti), svolge la propria attività lavorativa
nell’esclusivo interesse dell’Ente? Il gioco di parole adottato che, come si è
detto sopra, è stato ricercato con consapevolezza avrebbe preferito, al termine
dell’affermazione, l’apposizione di un segno distintivo che la letteratura
anglosassone identifica nel question mark, ma la punteggiatura mancante
avrebbe esclusivamente portato ad elaborare una risposta, mentre, nella realtà,
esistono ancora molte domande da porsi prima di giungere ad una soluzione. Ma
in cosa consiste l’interesse dell’Ente? Una domanda alla quale, chiedendo
anticipatamente perdono per la ripetizione poco sonante, si può rispondere
univocamente con “risposte”, che non devono tradursi in articolate
elucubrazioni verbali di lana caprina con le quali si giustifica il sesso degli
angeli, ma in output, che, nonostante assumano la veste immateriale,
possano definirsi tangibili e concreti. Non a caso, credo che con tutta
serenità non sia oggetto di scomunica definire “ingrato” il compito di
formulare alcune considerazioni in merito, soprattutto quando si inseriscono
nei rapporti complessi che esistono tra l’Ente Pubblico ed il Cittadino, dove
la locuzione “complessità” è solo adeguata a quei meccanismi burocratici che
infettano la mentalità del personale pubblico ancor prima che un agire
razionale consenta di pervenire alla risoluzione del problema. Anche
l’espressione verbale “ingrato” è stata intenzionalmente scelta, in
quanto, da un lato, non sempre risulta facile affrontare argomentazioni che
incidono sulla realtà operativa di una Pubblica Amministrazione e, dall’altro,
non è semplice utilizzare nell’esposizione una terminologia comprensibile,
capace di catturare quell’attenzione che può aiutare a far condividere insieme
alcuni aspetti, peraltro non sempre positivi, sui rapporti esistenti tra il
potere pubblico e coloro nei confronti dei quali dovrebbe essere esercitato per
l’erogazione di servizi. Non è un caso fortuito se, nel tempo, il Cittadino si
disaffeziona dall’Amministrazione Pubblica, allontanandosi contestualmente dai
problemi che affliggono la comunità locale. Questo atteggiamento passivo, che
rifugge il problema alla radice, è la risultante di un percorso gestionale
progettato ad hoc per far sì che l’Ente Pubblico sia percepito come una
scatola chiusa, dove al suo interno si decide di tutto ad eccezione di quella
che, nella realtà, era la missione reclamata dagli Amministratori in sede di
consultazione elettorale. Le colpe di questo sistema non devono, tuttavia,
essere cercate nei comportamenti dei Governi nazionali, di qualunque colore si siano
dipinti, ma direttamente in coloro che, a livello locale, sono stati chiamati a
gestire la cosiddetta “macchina pubblica”. Infatti, a partire dai primi
anni novanta (e questo è il dato più triste alla resa dei conti) il Legislatore
nazionale è andato nel tempo partorendo una disciplina più o meno organica di
provvedimenti mirati a rendere più snella l’attività della Pubblica
Amministrazione, cercando di abolire tutta una serie di procedure ridondanti e
obsolete che, nella burocrazia, trovavano (e purtroppo ancora oggi è così)
quella preziosa linfa vitale che consentiva di celare, dietro una gestione
disorganizzata, l’incapacità di adottare atti amministrativi idonei a
soddisfare le esigenze della collettività. I Cittadini, anziché essere
considerati come portatori di interesse, sono individuati come generatori di
problemi e, conseguentemente, meno si avvicinano al Palazzo Comunale (che
costituisce la Pubblica Amministrazione per eccellenza, essendo capillarmente
presente ovunque), meglio è per il quieto vivere e il proliferare di attività
svolte e assolutamente improduttive di benefici tangibili per loro. Oggi si
vive in realtà locali dove chiunque abbia voglia, ma soprattutto pazienza, di
perdere un po’ del suo prezioso tempo libero e decida di varcare il portone del
proprio Comune si troverà immerso in un ambiente talmente asfittico che lo
priverà di quell’ossigeno necessario per individuare la persona giusta alla
quale rivolgersi per ottenere indicazioni e suggerimenti utili ad individuare
con tempestività e precisione l’Ufficio competente a risolvere il problema.
L’Utente si ritroverà come se fosse all’interno di un museo privo di una
cartina che illustra il giusto percorso nel labirintico andirivieni di
corridoi, stanze e persone. Forse non tutti sono a conoscenza del fatto che le
leggi emanate nella direzione di ridurre le distanze tra Pubblica
Amministrazione e Cittadino sono operative da oltre dieci anni e che il ritardo
della loro piena applicazione non dipende dalla incomprensibile terminologia giuridica
utilizzata nell’esporre il dettato normativo, ma nella mancanza di volontà di
adeguare il proprio modus operandi, facilitando la comprensione che il
lavoro svolto all’interno degli Enti Pubblici avviene tenendo sempre in primo
piano l’interesse collettivo. Il panorama di oggi è profondamente cambiato
rispetto ai decenni scorsi ed il livello culturale del Cittadino è elevato al
punto che, per fortuna, non ripone più alcuna fiducia nei racconti del
personaggio di turno che si materializza in quello creato da Carlo LORENZINI,
in arte Collodi. Nonostante ciò, se si sente recitare gli attori principali,
sembrerebbe che lavorare nell’interesse dell’Ente sia alquanto difficile, per
non dire pieno di ostacoli:
- le innovazioni sono istantanee e, conseguentemente, l’adeguamento richiede tempo;
- la normativa di riferimento si evolve e, quindi, occorre adeguare le procedure;
- gli scenari cambiano ripetutamente e ciò richiede forzatamente la definizione di nuovi “punti nave”.
Peccato che
il regista del teatro organizzativo, a fronte di questi continui mutamenti
ambientali, si dimentichi di ricordare ai protagonisti che il copione è sempre
identico: l’obiettivo finale è la soddisfazione dei bisogni della
collettività. Cosa spinge allora a considerare l’interesse dell’Ente una
cosa così astratta e priva di sostanza tale da richiedere la produzione di
tanta documentazione, che si manifesta attraverso risme di carta,
proliferazione di faldoni e attività ripetitive, se non inutili, frutto di
decisioni non coerenti con le strategie da perseguire? Esistono procedure
appartenenti alla famiglia della lean thinking, che, se applicate,
produrrebbero risultati talmente all’avanguardia da consentire un’azione
amministrativa capace di instaurare un circolo virtuoso, che farebbe ridurre il
time to market, ossia il tempo necessario per la soddisfazione dei
bisogni della cittadinanza, dal preciso istante in cui si sono manifestati a
quello in cui viene comunicato il risultato finale. Anche la comunicazione
riveste un ruolo di primo piano all’interno dell’Organizzazione Pubblica, che
si impernia prioritariamente sulla comprensione dei problemi e non sulla loro
soluzione, anche se è abbastanza evidente che la corretta individuazione del
problema avvicina quella della sua soluzione. Il personale pubblico, dagli
amministratori ai dipendenti passando, soprattutto, per i dirigenti, ritiene
che il possesso delle informazioni a disposizione sia ancora un segreto da non
divulgare a nessuno sia in un’ottica bottom up, sia, a maggior ragione, top
down. In pratica, si rifiuta di prendere in considerazione il beneficio che
la comunicazione con il Cittadino porta alla rimozione di quell’ostacolo che
nella diffidenza trova il peggior nemico del rapporto di fiducia che altrimenti
si verrebbe a realizzare. La soluzione di gran parte dei problemi della
Pubblica Amministrazione trova le sue fondamenta in un semplice fattore di
mappatura e successiva riorganizzazione delle attività, ma questo non impedisce
l’instaurarsi, nella illuminata vision prospettica del personale
pubblico, di meccanismi perversi tali da far percepire che i processi di reengineering
siano una minaccia anziché un’opportunità. La loro filosofia di pensiero, ma
anche il modo di intendere la res publica, è rimasta ancorata a schemi
manageriali di derivazione preistorica, isolati dall’ambiente esterno
circostante, generando quel timore che la semplificazione dei processi potrebbe
far perdere potere all’interno dell’organizzazione e far percepire, conseguentemente,
al beneficiario una sensazione di aver a che fare con un soggetto diverso da
quello al quale si era inizialmente rivolto. L’innovazione è bandita in quanto
occorre eseguire i compiti nel preciso rispetto di regole prive di logica, di
compilazione di moduli inutili e produzione di paginate di relazioni che
nessuno leggerà. L’importante è continuare a credere che “se non c’è
controllo, allora deve esserci il controllo”, per poi meravigliarsi della
paralizzante inefficienza che non consente il perseguimento degli interessi
dell’Ente, ma consente, però, di raggiungere altri obiettivi. E’ necessario che
nel contesto attuale caratterizzato da innovazione istantanea e globalizzazione
la guida dell’Ente sia affidata a persone capaci di separare la vita
professionale da quella privata, che siano fortemente propensi al change
management e siano dotati di elasticità mentale senza per questo
dimenticare il percorso di avvicinamento agli interessi della comunità. In caso
contrario, la resistenza al cambiamento, l’ottusità mentale, il pedissequo
rispetto di regole gestionali arcaiche faranno avanzare la Pubblica
Amministrazione lentamente, come una nave in mezzo all’oceano, lungo una rotta
disegnata da comportamenti improvvisati sordi alle sollecitazioni provenienti
dall’ambiente interno. Lungo questa direzione, ci si accorgerà ben presto che
continuando a tracciare “punti nave”, anziché aver raggiunto lo stato
desiderato, ovvero l’obiettivo finale, l’imbarcazione si sarà arenata in un
nulla di fatto o, peggio ancora, si sarà incagliata tra gli scogli e che al
Cittadino, rimasto insoddisfatto, non rimarrà altro da dire che ci vuole tempo
per risolvere i suoi problemi perché le scialuppe di salvataggio (leggasi “le
risorse umane migliori”) hanno già da tempo abbandonato la nave.
Autore: Emanuele COSTA
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Semplice n° 3/Marzo 2007
con il titolo «Quando il personale pubblico lavora nell'interesse
dell'Ente»
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