Dopo circa due anni di tassi
di interesse descrescenti e poi mantenuti costanti ad un livello molto basso
(1,00%), la Banca Centrale Europea ha iniziato ad orientare la propria
strategia verso una politica monetaria restrittiva. La decisione non può dirsi
"sofferta", tenendo conto delle persistenti difficoltà in cui ancora
si trovano le finanze pubbliche di alcuni Stati membri. Può definirsi, a
ragione, "scontata", perché prima o poi, in assenza di politiche
socio/economiche mirare a risanare, da un lato, disavanzi pubblici e
rilanciare, dall'altro, un sistema economico entrato in coma profondo, la
spinta inflazionistica avebbe manifestato la sua naturale tendenza al rialzo.
Non è un mistero che uno dei principali obiettivi perseguiti dalla politica
della Banca Centrale Europea è quello di evitare "spirali salariali".
E' normale, quindi, domandarsi se l'aumento del tasso ufficiale abbia veramente
la capacità e la forza di incidere sulle retribuzioni, anziché su altre
variabili come, ad esempio, sui prezzi. Occorrerebbe, conseguentemente,
approfondire l'analisi sulle dinamiche che spingono i prezzi al rialzo, che
costituiscono la base di calcolo dell'inflazione (e non i salari), perché non
sempre l'incremento degli stessi nasce da tensioni rialziste del reddito
disponibile. L'aumento dei prezzi spesso è la risultante di altri fattori che
non hanno nulla a che vedere con il costo del personale, ma più banalmente
dipende da altri elementi: ad esempio i costi energetici (inflazione importata)
oppure i costi organizzativo/produttivi (inflazione strutturale). E' necessario
ed opportuno valutare se sia corretto che la politica monetaria sia gestita per
tutti gli Stati membri da un unico soggetto (la Banca Centrale Europea), mentre
altre politiche, le cui decisioni impattano sull'economia (ad esempio, la
politica fiscale), continuino ad essere governate autonomamente da ogni Stato
appartenente all'Unione Europea. Questo modus
operandi se teoricamente potrebbe essere accettato, compreso e condiviso da
tutti, non è detto che, nel lungo periodo, non rappresenti il driver di squilibri ancor più gravi di
quelli attuali. Il rischio che si prospetta all'orizzonte è quello di un
contesto che a fronte di una Europa Unita (sotto il profilo monetario) si
contrapponga una Europa disunita (sotto l'aspetto sociale). Verso quale
scenario ci stiamo dirigendo?
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Il Futurista del 11 luglio 2011 con il titolo «Va bene l'unione monetaria, ma si lavori sulla coesione sociale»
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