Con il
presente articolo, senza porsi la finalità di essere esaustivo, ma nella
speranza, invece, di far nascere nel lettore un sentimento di analisi critica
della fattispecie in esame, si intende contribuire a fornire un’ipotetica soluzione,
attraverso alcune valutazioni tecniche, di un delicato argomento in materia di
responsabilità contabile. Nella sostanza, si vuole approfondire un argomento di
crescente attualità, che, se non collocato nel corretto alveo giuridico, può costituire
la sorgente di una fonte di diatriba all’interno dei processi decisionali di un
Ente Locale: la nomina ad agente
contabile del dipendente incaricato della gestione dei buoni pasto. Senza
entrare nel merito di una idonea allocazione, nell’organigramma
dell’Amministrazione, del personale cui è stata assegnata la mansione relativa
all’approvvigionamento e successiva erogazione dei buoni pasto, l’obiettivo prefissato
è quello di chiarire tecnicamente un dilemma che spesso ci si trova ad
affrontare, ossia se considerare coloro che gestiscono i buoni pasto dei
semplici agenti amministrativi
oppure inquadrarli nell’ampia sfera degli agenti
contabili. In materia la dottrina, generalmente, distingue tra due
differenti gestioni:
a) amministrativa, in altre parole
quella che si manifesta attraverso il potere dispositivo di beni, ma non nella
concreta gestione di denaro o valori;
b) contabile, ovvero quella che si
esplicita attraverso l’effettiva disponibilità, cui ne consegue il maneggio, di
denaro o valori.
In quest’ultimo
caso, in particolare, il responsabile della gestione contabile deve predisporre,
ai sensi dell’articolo 611 del Regio Decreto n° 827/1924 «Regolamento per l'amministrazione del
patrimonio e per la contabilità generale dello Stato», un documento
rappresentativo delle operazioni effettuate (conto giudiziale) da rendere alla
Corte dei Conti, per il tramite dell’Amministrazione di appartenenza. Conseguentemente,
alla luce di quanto esposto sinteticamente, la responsabilità amministrativa
differisce da quella contabile in quanto la prima può essere fonte di un
illecito erariale causativo di danno, mentre la seconda impone la dimostrazione
di una corretta gestione, attraverso l’obbligo generale di rendicontazione,
che insiste su quella particolare e analitica, accollato a tutti i soggetti
pubblici, che trova la sua consacrazione nell’articolo 81 della Carta Costituzionale.
Specifica e dettagliata disciplina sul tema della responsabilità contabile si
rinviene, altresì:
a) nel Regio Decreto n° 2440/1923 «Nuove
disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale
dello Stato» - articoli 74, 84
ed 85;
b) nel
Regio Decreto n° 827/1924 «Regolamento per
l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato» - articolo
178 e seguenti;
c) nel Regio Decreto n° 1214/1934 «Approvazione del testo unico delle leggi
sulla Corte dei conti» - articolo 52;
d) nel DPR
n° 3/1957 «Testo unico delle
disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato» - articolo 21.
Entrando
più propriamente nel merito dell’oggetto di cui alla presente trattazione, il Decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri (DPCM) del 18 novembre 2005
«Affidamento e gestione dei servizi
sostitutivi di mensa» nell’enucleare alcune definizioni, esplicita in modo
chiaro ed inequivocabile che il buono pasto non è convertibile in denaro, pur
avendo un valore facciale, dando esclusivamente diritto, al possessore, alla
somministrazione di un servizio. Non esiste, quindi, alcun dubbio che il buono
pasto, pur non potendo essere convertito in denaro, costituisce, tuttavia, un
valore di cassa “interno” (alla pari dei valori bollati), la cui
quantificazione è corrispondente a quella facciale stampata sul documento
cartaceo che lo materializza. Pertanto, in base alle considerazioni esposte, può
sorgere il dubbio, qualora i buoni pasto non siano condotti nella definizione
di “valore di cassa”, se al personale responsabile della loro gestione si
possa o meno attribuire il beneficio economico previsto dall’articolo 36 «Indennità
maneggio valori» del Contratto Collettivo Nazionale
del Lavoro (CCNL) sottoscritto il 14 settembre 2000 (code
contrattuali) del Comparto «Regioni/Autonomie
Locali». Infatti, il contenuto esclusivamente letterale del citato articolo
36 non fa alcun esplicito riferimento a cosa si intende per “valore di cassa”,
il quale, tuttavia, può trovare ampia trattazione all’interno del Contratto
Decentrato Integrativo, attraverso un’estensione dell’interpretazione alla
fattispecie dei buoni pasto. Operando in questa direzione, il Contratto
Decentrato Integrativo sarebbe così investito, tra l’altro, della
responsabilità di individuare in maniera inconfondibile i soggetti percettori
dell’indennità derivante dal maneggio valori e non solo di quella legata alla
definizione dell’entità monetaria da erogare, scegliendola nell’intorno di un intervallo
che si colloca tra un minimo di euro 0,52= (ex lire 1.000=) ed un
massimo di euro 1,55= (ex lire 3.000=), naturalmente, proporzionato
al valore medio mensile dei valori maneggiati ed in funzione delle giornate
nelle quali il dipendente è effettivamente adibito al servizio in questione. E’
interessante, inoltre, osservare come il Contratto Collettivo Nazionale del
Lavoro citato non faccia alcuna specifica allusione al fatto che colui che
maneggi valori e, per conseguenza, risulti titolare del diritto all’indennità
relativa, sia automaticamente investito della qualifica di agente contabile oppure debba trovare la sua legittimazione in un
formale provvedimento di nomina. Giuridicamente la nozione di agente contabile si estrapola dall’articolo
74 del Regio Decreto n° 2440/1923 «Nuove disposizioni
sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato»
che lo distingue in:
a) agente
della riscossione;
b) agente
pagatore o tesoriere;
c) agente
consegnatario.
L’agente
consegnatario, quindi, non solo è qualificato ex lege come agente
contabile, ma, nel rispetto del combinato disposto dei commi 1 e 5
dell’articolo 29 del Regio Decreto n° 827/1924 «Regolamento
per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato»,
è personalmente responsabile dei beni ricevuti in custodia, fino a che non ne
abbia ottenuto legale discarico, rispondendo anche della variazione che subisce
l’entità dei crediti a lui affidati. Nella prospettiva di contribuire oggettivamente
sull’argomento, si premette che il buono pasto si può serenamente considerare,
a tutti gli effetti, un “bene” sia sotto il profilo economico, sia sotto
quello giuridico. Nello specifico, il “bene”
è considerato:
a) dalla
teoria economica, come «ogni mezzo materiale e immateriale ritenuto
idoneo a soddisfare un bisogno». In altre parole, affinché si possa
classificare qualcosa come “bene” è
necessario, in ambito economico, che questo sia in grado di fornire una
qualunque utilità e, contemporaneamente, sia dotato di un prezzo positivo;
b) dalla
giurisprudenza, come «le cose che possono formare oggetto di diritti»,
nel rispetto del dettato dell’articolo 810 del Codice Civile.
Alla
luce di quanto sopra affermato, si può realisticamente comprendere e condividere
come il buono pasto possa rientrare nella definizione di “bene” sotto l’aspetto sia economico, sia giuridico. Infatti, il
buono pasto:
a) economicamente:
- è idoneo a soddisfare un bisogno (quello di
mangiare);
- fornisce un’utilità, in quanto è
manifestamente esplicita l’esistenza di un bisogno, che trova corrispondenza
nel bene;
- è dotato di un prezzo positivo, in quanto è
palese la presenza di un mercato nel quale il buono pasto è acquistato/scambiato;
b) giuridicamente:
- forma oggetto di un diritto (quello alla
somministrazione di un servizio);
- è mobile, in quanto può essere trasferito
fisicamente.
Pur non esistendo ad oggi una specifica pronuncia
da parte della Magistratura nella direzione di eliminare ogni forma di
personale interpretazione circa l’obbligo di rendicontazione, attraverso il
conto giudiziale, per il dipendente incaricato della gestione dei buoni pasto, si
ritiene che lo stesso, alla luce delle osservazioni formulate, rientri tra gli agenti contabili ex lege e che, pertanto, il suo ruolo debba essere regolato
attraverso un formale atto di nomina all’interno dell’Ente di appartenenza. Tuttavia,
nonostante il buono pasto negli Enti Locali, ma più in generale in tutta la
Pubblica Amministrazione, si possa considerare una conquista recente, già in
tempi non sospetti e a sostegno delle tesi elaborate, era intervenuta la Corte
dei Conti - Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio - che, con
Sentenza n° 12/98/R, nel condannare un dipendente di un
Ente Pubblico per aver sottratto buoni pasto, precisava «(omissis) ...
Particolarmente grave appare il fatto che egli non abbia mai presentato un
rendiconto, che è indispensabile atto contabile nei servizi a denaro e per
valori ... (omissis)». Pertanto, qualora l’Ente Locale non abbia
provveduto, per dimenticanza o altro, agli adempimenti di cui all’articolo 233
- comma 2, lettera a) - del Decreto Legislativo n° 267/2000 «Testo unico delle leggi sull’ordinamento
degli enti locali», non significa che i dipendenti responsabili della
gestione dei buoni pasto, siano esonerati dal rispettare gli obblighi previsti
per gli agenti contabili. Sarebbe opportuno
che coloro che sono chiamati in prima persona nel processo decisionale
all’interno delle Amministrazioni Pubbliche, in assenza di precise disposizioni
in merito ad argomenti delicati, soprattutto se fonti di potenziale addebito di
responsabilità, uscissero dall’arcaico schema secondo il quale tutto ciò che la
legge non dice espressamente è vietato. Per opportuna conoscenza, si ricorda che
l’articolo 103 della Costituzione prevede chiaramente l’assoggettamento alla
giurisdizione della Corte dei Conti nelle materie di contabilità pubblica e
che, pertanto, qualunque disposizione che limiti o, addirittura, esoneri da
tale giurisdizione è da ritenersi costituzionalmente non corretta. L’adozione
di qualsivoglia provvedimento, così come un comportamento omissivo, che si
traduca in un’esenzione dell’agente
contabile ex lege dall’obbligo di
presentare il conto giudiziale è da considerare costituzionalmente illegittimo,
non solo perchè contrasta con il principio di uguaglianza di tutti i cittadini,
ma in quanto da esso deriva l’indisponibilità del diritto pubblico
all’accertamento obbiettivo della correttezza di gestione. Nella speranza di aver
contribuito alla risoluzione di una potenziale minaccia, con particolare
riguardo alla tutela degli interessi del personale cui è affidata la
responsabilità della gestione dei buoni pasto, si spera che, attraverso un
banale atto amministrativo, si provveda a regolare una posizione, che, in
futuro, potrebbe avere conseguenze ancor più gravi rispetto all’applicazione di
una norma generale di buon senso.
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Semplice n° 1/Gennaio 2007 con il titolo «La responsabilità contabile del dipendente incaricato della gestione dei buoni pasto»
No comments:
Post a Comment