Quando nei primi Anni ’90 l’America decise di
cambiare registro, lo slogan che
influenzò l’allora opinione pubblica era, al tempo stesso, banale e profondo.
Banale perché non erano necessari anni di studio oppure una conoscenza
approfondita della materia per comprendere cosa, nel fare politica, non deve
mai essere tralasciato o abbandonato nel dimenticatoio. Profondo perché con
quel motto si voleva andare a colpire, con una chiarezza espositiva fuori dal
comune, l’attenzione e la coscienza di milioni di americani. Oggi, quel
manifesto dovrebbe fare da guida all’intera classe politica italiana (locale e
nazionale) impegnata quotidianamente a litigare per assumere decisioni
pubbliche che andranno ad impattare negativamente sul futuro non solo delle
giovani generazioni, ma anche su quello dell’intera collettività, senza pietà
od esclusione di sorta. Qualcuno potrebbe legittimamente osservare che si
tratta di un’automatica applicazione della legge della natura, dove è il più
forte a prevalere ed il più debole a soccombere, lasciando campo libero ad una
schiera di individui senza scrupoli nei confronti di iniziative volte a
migliorare il benessere sociale. Ciò si verifica perché i programmi e le
proposte elaborati sono spesso il frutto di improvvisazioni guidate da pruriti
personali, piuttosto che inquadrati in un contesto che abbracci le effettive
esigenze altrui. Non occorrono luminari della scienza, ma è sufficiente un
minimo di coscienza, limitandosi a far tesoro del monito lanciato da Albert
ACREMANT: «Quando prendiamo una
decisione, dobbiamo sempre pensare alle conseguenze che essa avrà sugli altri».
Infatti, è in questa ottica che quello slogan
usato in campagna elettorale, “It’s the
economy, stupid!”, si proponeva l’ambizioso obiettivo di mettere in luce
come una politica miope e sterile non avrebbe portato da nessuna parte, se non
nella univoca direzione di salvaguardare gli interessi parziali a scapito del
benessere dell’intera Comunità. Ed è proprio in uno scenario come quello
prospettato che si inseriscono, senza il minimo sforzo, mirabolanti promesse
arringate intorno ad un tavolo. Non serve sprecare tempo a studiare quali
accorgimenti adottare per la creazione di uno specifico fondo, perché quello è
già stato toccato da un pezzo e, forse, è giunta l’ora di iniziare a scavare.
L’economia di un paese non è come la gestione di un cassetto dove a furia di
arrabattarsi si corre il rischio di rompersi le unghie per poi scoprire, con
amara tristezza, che nel fondo si potrà trovare solo qualche
granello di polvere se non nulla. Così come è priva di qualsiasi utilità
illudere i Cittadini di volerli premiare (con denaro pubblico) se
dimostreranno di essere “virtuosi”, ossia se rispetteranno i principi e le
regole che si ispirano alla convivenza civile. Uno squallido tentativo per
ringraziarli di ergersi a “cittadini modello” in una società indisciplinata,
contribuendo, con il denaro pubblico, ad alleviare le loro sofferenze tributarie.
Peccato che, nel formulare allettanti promesse di puro stampo
elettorale/propagandistico, tali da far roteare, come in una slot machine, il simbolo del dollaro nei
bulbi oculari dei votanti, spesso sono ignorati elementari principi non solo di
equità e giustizia, ma addirittura le più elementari regole del dovere civico
cui deve ispirarsi il comportamento di ogni appartenente alla società civile.
Senza considerare, in ultimo, quei principi economici che, sulle orme
dell’insegnamento del “Rasoio di Occam”,
spingerebbero chiunque ad esclamare: “It’s
the economy, stupid!”. Le regole, per definizione, vanno rispettate e
nessun premio deve essere promesso ed erogato in cambio della loro osservanza.
Non fornisce alcun beneficio alla collettività perfezionare l’educazione di chi
è già in possesso di questo qualità. Occorre, al contrario, agire per
riequilibrare il comportamento di chi ignora l’esistenza della buona condotta.
Non servono particolari tecniche per spiegare la validità di una simile teoria.
In un concorso a premi il primo classificato sarà sempre, e solo, uno e non
sarà mai incentivato a migliorare, perché gli sarà sufficiente dimostrare di
essersi comportato un infinitesimo meglio degli altri per ricevere la
ricompensa, senza aver contribuito, in contropartita, all’accrescimento del
benessere sociale. Inoltre, si è epistemologicamente ignorato l’assioma secondo
il quale l’elargizione di un premio con denaro pubblico andrà a peggiorare la
condizione sociale non solo dei perdenti, ma anche quella del vincitore. Al
contrario, una politica rieducativa, imperniata su strumenti alternativi al
sistema delle ricompense, potrà garantire un benessere sociale superiore sia al
vincitore, sia, paradossalmente, ai perdenti. Ma non c’è da meravigliarsi di
fronte a simili boutade, perché lo
stesso Franklin Pierce ADAMS ci aveva già messi in guardia: «Il problema di questo paese consiste nel
fatto che ci sono troppi uomini politici che credono, con la certezza che
deriva dall’esperienza, che si possa ingannare tutto il popolo in ogni momento».
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: www.tigulliana.org (nella Rubrica "Diritto di Parola") del 02 novembre 2013 con il titolo «"It's the economy, stupid!"»
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