Sono ormai
trascorsi più di dieci anni da quando il legislatore nazionale ha percepito
l’importanza o meglio la necessità di introdurre, anche nella Pubblica
Amministrazione, strumenti di gestione di derivazione privatistica. Il percorso
di avvicinamento ad un sistema di amministrazione simile a quello in uso presso
le aziende private è avvenuto in seguito alla progressiva emanazione di norme
finalizzate all’inserimento della contabilità economica ad integrazione di
quella finanziaria. Infatti, mentre la contabilità finanziaria rileva i fatti
amministrativi solo ed esclusivamente analizzandone l’impatto monetario
(entrata, uscita, avanzo/disavanzo), quella economica non esclude questa
tipologia di rilevazione, ma la supporta con informazioni di natura economica
(costi, ricavi, margini). L’orientamento dei provvedimenti, ancora a livello
embrionale, hanno dato la sensazione di un opportuno repentino cambio di rotta
rispetto ad un sistema di gestione delle risorse pubbliche basato sulla
semplice misurazione contabile dell’azione amministrativa. Le norme che nel
tempo si sono susseguite hanno costretto gli operatori a costruire le
fondamenta per lo sviluppo step by step di un lavoro destinato
a ridurre il gap esistente tra il modello gestionale delle aziende private,
caratterizzato da elasticità/flessibilità, e quello delle
Amministrazioni Pubbliche, improntato alla rigidità/complessità. Con la rilevazione dei
fatti di gestione sotto il profilo economico, l’Ente Pubblico ha così
affiancato le tradizionali informazioni finanziarie a quelle economiche,
necessarie per migliorare la valutazione preventiva
e prospettica di processi
decisionali idonei per un efficace funzionamento della res publica. In quest’ottica, gli operatori del settore sono stati
invitati, dall’input normativo, ad
abbandonare schemi stereotipati, frutto di prassi preistoriche senza logica e
di un radicato modus operandi
informato al detto “si è sempre fatto
così e bisogna continuare a farlo”. In pratica, gli attori sono stati
sensibilizzati all’approccio di una filosofia di pensiero caratterizzata dalla
concreta consapevolezza che una scelta amministrativa può avere una convenienza
applicativa se analizzata anche in ambito economico, anziché limitare lo studio
di fattibilità esclusivamente all’aspetto finanziario. E’ alquanto singolare
che ogni indirizzo gestionale, che nel settore privato si colloca nell’alveo
delle decisioni manageriali, limiti il campo di analisi confinandolo alla
sterile verifica delle disponibilità finanziarie esistenti sul
capitolo/intervento di imputazione della pertinente spesa. Infatti, è
paradossale pensare che il perseguimento dell’interesse generale sia frutto di
decisioni, che trovano in un documento di tipo autorizzatorio dei vincoli,
anziché delle opportunità. In altre parole, qualsiasi deliberazione che impatta
sul benessere collettivo (nazionale, regionale o locale) dovrebbe comprendere
anche un’analisi di redditività, intesa come capacità di generare reddito o, in alternativa, utilità sociale. L’impalcatura del
sistema contabile ancora in uso presso la maggior parte della Pubblica
Amministrazione, unitamente ad una scarsa cultura manageriale propensa al
cambiamento, giustifica la differenza di terminologia utilizzata per definire
il modello gestionale come:
a) flessibile/elastico,
per il settore privato;
b) complesso/rigido,
per l’ambiente pubblico.
La flessibilità/elasticità nasce dalla capacità
e volontà del management aziendale di modellare decisioni già adottate con rapidità
per:
a) sfruttare
opportunità precedentemente ignorate;
b) reagire a
minacce provenienti dall’ambiente esterno/interno;
nel rispetto
di un obiettivo generale condiviso all’interno dell’Organizzazione, che trova
la sua giustificazione nella necessità di continuare ad esistere sul mercato. L’azienda,
quindi, si configura come entità che, dovendo sopravvivere nella giungla
concorrenziale, affida la gestione ad un management
camaleontico, capace di sviluppare un processo decisionale in qualsiasi
contesto, senza traumatizzare la mission grazie ad un mutamento
appropriato e idoneo a garantirne la continuità operativa. La complessità/rigidità, per contro, si manifesta con l’incapacità e mancanza di
volontà degli Amministratori pubblici (politico/amministrativi) di
intervenire con tempestività nella prospettiva di un miglioramento, in termini
di qualità/efficienza, dei servizi erogati alla comunità locale di riferimento,
per:
a) modificare
scelte già deliberate;
b) affrontare
cambiamenti normativi;
in quanto,
all’interno dell’Organizzazione, è scarsa la sensibilità nei confronti di un target condiviso e non è recepito alcun
pericolo in merito alla sopravvivenza dell’Ente. La Pubblica Amministrazione si
presenta come un’organizzazione che, non essendo soggetta alla procedura
concorsuale del fallimento, è gestita come un pachiderma, con la conseguenza
che non è in grado di cogliere le opportunità derivanti da qualsiasi
cambiamento, impattando i risultati in sinuosi meandri procedurali oppure
sacrificando potenziali effetti benefici al rispetto formale di regole
burocratiche. Proprio per contrastare questa mentalità, ma anche nella
direzione del perseguimento dell’obiettivo generale di abbattimento della spesa
pubblica, il legislatore è intervenuto con una serie di provvedimenti
finalizzati a spingere l’azione amministrativa verso regole gestionali
maggiormente aderenti alla realtà, uscendo dallo schema di controllo delle
attività fondato sulla burocrazia. Un Amministratore sensibile ai problemi
della Comunità che governa, oggi è sempre più consapevole che i servizi
pubblici potranno essere di qualità superiore solamente se i processi posti in
essere saranno capaci di soddisfare le esigenze della cittadinanza e non se
avranno rispettato formalmente i procedimenti amministrativi, che, nel loro
contenuto, sono disinteressati all’effettivo bisogno della società di
riferimento. Le regole organizzative sulle quali ancora oggi ruota il governo
della Pubblica Amministrazione si imperniano su logiche:
a) giuridico formali - è necessario interpretare
rigidamente la norma, considerando solo ed esclusivamente ciò che il dettato
dispositivo recita, tralasciando i margini di libertà insiti in ciò che non è
disciplinato espressamente;
b) procedurali - la mancanza di creatività fa
sì che è importante “fare e compilare”
piuttosto che “pensare e risolvere”;
c) di competenza - in altri termini, occorre
limitare la propria attività a ciò che compete, non interferendo sull’attività
dell’Ufficio che ha generato l’input
e non coinvolgendo gli Uffici ai quali è diretto l’output;
d) autoreferenziali - è essenziale rispettare ciò
che la forma impone, senza preoccuparsi se la sostanza dei risultati prodotti
genera benefici all’utente finale.
Il legislatore, per ciò che gli compete, ha
riconosciuto con le norme l’importanza di andare oltre il concetto di controllo
di stampo burocratico, inteso come preciso rispetto di formalità, per meglio
orientare l’azione amministrativa grazie al supporto strategico del controllo
di estrazione manageriale. Conseguentemente, per effetto di valutazioni
economiche preventive e prospettiche, sarà possibile migliorare l’allocazione
delle risorse (umane, strumentali, tecnologiche e finanziarie) per ottenere
risultati apprezzabili in termini di soddisfazione da parte dei diretti
interessati. Operando in questa direzione, miglioreranno gli indici di
assorbimento dei fattori produttivi, che qualche lettore potrebbe correttamente
intendere come sinonimo di minore spreco
o maggiore efficienza,
rappresentando la genesi per lo sviluppo di ulteriori benefici sociali. Si
innescherà un circolo virtuoso di
generazione di nuove risorse da quelle esistenti, senza dover chiedere nulla,
in termini di risparmio forzoso, ai Cittadini, i quali si troveranno
beneficiari di servizi pubblici migliori senza la richiesta di un sacrificio
supplementare. La stessa dottrina ravvisa l’esigenza che «per la pubblica amministrazione un punto di svolta decisivo sul piano
dell’efficienza e della funzionalità si può avere con il passaggio dallo
sfruttamento delle capacità esecutive (controllo burocratico) all’attivazione
ed al pieno sfruttamento delle capacità di adattamento dell’azione al mutamento
e di rinnovamento dei processi amministrativi (controllo manageriale)»
(Elio BORGONOVI - «Azienda Pubblica» - Maggioli Editore). In un contesto
caratterizzato sempre più da scenari in continua istantanea evoluzione,
l’Amministratore pubblico deve saper affrontare, ma soprattutto risolvere, i
bisogni della Comunità, gestendo l’approccio al problem solving con dinamismo, grazie alla combinazione sinergica
di tutti gli strumenti a supporto delle decisioni. L’attenzione si sposta,
quindi, dal rispetto di regole
ridondanti al controllo dei
risultati, riducendo il time to market necessario affinché
la soluzione prospettata si traduca in linee guida verso l’adozione di
provvedimenti idonei a produrre gli effetti desiderati. Coloro che hanno la
possibilità di manovrare le leve decisionali all’interno dell’Ente dovranno
convincersi, ma più di ogni altra cosa condividere l’idea, che la Comunità di
riferimento si aspetta un deciso miglioramento sia dell’efficienza interna, sia
dell’efficacia degli interventi. Solo una gestione che ottimizza i costi di
funzionamento della struttura pubblica sarà capace di individuare e destinare
una quantità maggiore di risorse a processi di produzione ed erogazione di
servizi in grado di rispondere, con successo, alle aspettative della
cittadinanza. Il perseguimento dell’economicità di gestione, che non deve
assolutamente tradursi come taglio di risorse, ma migliore allocazione di
quelle disponibili, deve diventare l’obiettivo primario di tutti gli
Amministratori pubblici. Essi devono acquisire la consapevolezza che attraverso
il potenziamento della struttura, per effetto di un crescente sviluppo delle
capacità organizzative interne, si potrà arrivare ad offrire servizi sempre più
personalizzati, nel rispetto delle strategie definite a monte e dei vincoli di
bilancio tradotti a valle. In un ambiente caratterizzato da una pluralità e
complessità di variabili in gioco, si colloca il processo di Controllo di Gestione, come insieme di
attività in grado di mettere a disposizione della direzione
politico/amministrativa informazioni utili per governare la realtà attraverso
l’adozione di politiche razionali. Si tratta di un orientamento di natura
economico/aziendale in quanto il carburante che alimenta l’attività del controller è costituito da una gestione
razionale delle risorse disponibili, per rendere razionale l’attività di
consumo delle risorse non solo finanziarie. In questa direzione, non si può
pensare di impostare le attività del Controllo di Gestione senza aver delineato
a monte quelle di programmazione, al fine di assicurare, per effetto del
continuo confronto obiettivi/risultati, la realizzazione delle finalità dell’Ente.
Sotto questo aspetto, il Controllo di Gestione si concretizza in un’attività
che per essere efficacemente implementata necessita di una preventiva e
capillare analisi delle peculiarità del singolo Ente e della sua organizzazione
interna, al fine di comprendere e chiarire cosa si intende per
qualità/efficienza ed efficacia e tradurre le definizioni in concreti sistemi
di misurazione. Il Controllo di Gestione nell’Amministrazione Pubblica è,
quindi, prima di tutto una sfida
culturale senza precedenti, dal momento che ogni individuo non percepisce
con favore qualsiasi processo di cambiamento che va ad incidere sulla sfera
lavorativa. La novità è guardata con sospetto, poiché costituisce un pericolo
latente che influenza quell’ambito gestionale conquistato con fatica nel tempo,
in altri termini l’orientamento al cambiamento è tradotto come la progressiva
perdita di un potere consolidato, che non si ritiene suscettibile di mutamento,
sia esso migliorativo o innovativo. Le prime risorse dovranno perciò essere
investite nel processo di comunicazione interno nella speranza di far
condividere agli Amministratori che il Controllo di Gestione non è finalizzato
all’ispezione e alla punizione, ma è uno strumento di guida indirizzato a
verificare le attività nell’ottica della ricerca continua del miglioramento. Un
Amministratore pubblico particolarmente illuminato che saprà inquadrare il
Controllo di Gestione come essenziale strumento di decision support system
per la pianificazione strategica, potrà garantire, da un lato, un reale
miglioramento dell’efficacia dell’azione amministrativa e, dall’altro, un
livello qualitativo dei servizi offerti alla cittadinanza sensibilmente
migliorato. Il crescente
livello di soddisfazione percepito dalla comunità locale si tradurrà in
consenso per i risultati raggiunti, ricucendo quello strappo che nel tempo ha
progressivamente allontanato il Cittadino dalla gestione dell’Amministrazione
Pubblica, nei confronti della quale è invece l’elemento centrale del suo buon
funzionamento.
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Semplice n° 7-8/Luglio-Agosto 2013 con il titolo «Introduzione al Controllo di Gestione»
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