Sono ormai passati diversi
mesi da quando il Parlamento ha licenziato il Decreto Legislativo n° 150/2009 «Attuazione
della legge 4 marzo 2009, n° 15, in materia di ottimizzazione della
produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche
amministrazioni», ma il tema trattato non cessa di essere oggetto di
critiche, dibattiti e opinioni, a dimostrazione che il susseguirsi delle stagioni
non ha comportato modifiche negli stili di vita, perpetuando una moda
intramontabile. Eppure, al di là del contenuto delle discussioni, siano esse
favorevoli o contrarie, la lettura del dettato normativo non fa trasparire
quelle novità che hanno fatto aumentare la temperatura della preoccupazione tra
gli addetti ai lavori per un cambiamento che, in realtà, non c’è ancora stato,
non sembra previsto e, probabilmente, non si verificherà. La riforma della
Pubblica Amministrazione è un processo in
itinere, iniziato ormai vent’anni fa, anche se, per cause dipendenti dalla
volontà di tutti e di nessuno, i risultati che risiedevano nell’intenzione del
Legislatore continuano a non manifestarsi. Infatti,
come avviene in qualsiasi processo continuo che si ispira al cambiamento,
dovrebbe avere la finalità, se perseguita nel rispetto della metodologia "kaizen",
di individuare ed apportare sensibili miglioramenti all'intera Struttura
Organizzativa. Nella realtà, invece, si assiste ad uno strano fenomeno,
inquietante quanto misterioso, che consiste nel valutare attentamente le trasformazioni
positive prospettate dalle nuove regole, per iniettare un virus letale capace di inibirle, anziché cavalcare l'onda del
progresso che va nella direzione di assicurare livelli qualitativi superiori
nei servizi erogati dalla Pubblica Amministrazione. La filosofia storica che ha
ispirato il processo di rinnovamento ha investito, soprattutto, il comportamento
organizzativo, sancendo con l’articolo 3 del Decreto Legislativo n° 29/1993 «Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e
revisione della disciplina in materia di pubblico impiego» (oggi
articolo 4 del Decreto Legislativo n° 165/2001 «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche») quel principio di separazione dei
poteri, che da tempo memorabile aveva collocato la volontà politica al vertice di
tutto il processo decisionale. La piramide dell'Organizzazione iniziava così lentamente
a schiacciarsi verso il basso, senza, tuttavia, implodere, perché gli interessi
in gioco erano ancora molti e non era ammissibile tranciare di netto quel
cordone ombelicale che tiene ancora imbrigliata la classe dirigente agli umori
della politica. Il primo passo del legislatore fu quello di separare il
processo di formazione delle decisioni in due grandi aree:
a) da un lato, l’azione
di governo da proporre nel periodo di mandato (potere di indirizzo);
b) dall’altro, l’azione
di amministrazione da sviluppare nel corso dell’anno (potere di gestione).
L’impronta
riformatrice non era stata disegnata esclusivamente con l’idea di evitare (o
almeno limitare) ingerenze di una parte nell’attività tipica dell’altra, ma si
proponeva l’ambizioso obiettivo di far percepire a tutti gli attori quel senso
di appartenenza ad un’Organizzazione, attraverso coinvolgimento, consapevolezza
e responsabilità nell’adozione delle decisioni: politiche (nel primo caso), tecniche
(nel secondo). Tutto ciò ha prodotto una forte spinta innovativa per
individuare moderni modelli
organizzativi e adeguati processi
operativi. I primi, toccano da vicino la responsabilità politica, che deve preoccuparsi di costruire un’architettura
organizzativa dotata di strumenti flessibili per generare consenso nella
comunità di riferimento, in coerenza con il processo di pianificazione degli
interventi da realizzare, per conseguire gli obiettivi sbandierati nel
programma elettorale. Se correttamente intesa, rappresenta il punto dal quale
partire per attuare quella trasformazione radicale nella gestione affidata alla
politica che si traduce nel passaggio dalle tecniche di government, indirizzate
alla produzione e implementazione di politiche pubbliche, a quelle di governance,
orientate a valutare gli effetti dei comportamenti posti in essere sui soggetti
investiti dalle policy. I secondi,
investono in pieno la responsabilità
manageriale, che deve sforzarsi di individuare meccanismi idonei a
stimolare un’accelerazione nel passo burocratico per consentire il
raggiungimento dei target fissati
dalla classe politica. Resta ferma l'ipotesi che il modus operandi deve avere sempre in primo piano la cognizione che
da ogni processo decisionale scaturiscono responsabilità:
a) politiche (connesse agli obiettivi da realizzare);
b) manageriali (legate alla realizzazione degli obiettivi);
c) patrimoniali (relative ai danni cagionati dall’azione);
d) penali (derivanti dall’adozione di comportamenti illegali).
Occorre,
pertanto, improntrare lo sviluppo dell’azione amministrativa all'osservanza di due
principi fondamentali:
1) buon
andamento;
2) imparzialità;
dai
quali, se rispettati, discendono automaticamente quelli di:
a) efficacia;
b) efficienza;
c) economicità;
d) legalità;
e) partecipazione;
f) pubblicità;
g) trasparenza.
Non
è un caso se i due principi guida richiamati sono stati volutamente incastonati
all'interno della Carta Costituzionale (all'articolo 97) per illuminare
costantemente il decisore pubblico che qualunque linea di condotta della
Pubblica Amministrazione deve essere estrapolata da essi. Per questo, è
possibile individuare la loro giusta interpretazione all'interno della
produzione normativa, laddove si tenta di far comprendere l'importanza del
processo di programmazione delle attività, se esistente, dal quale dovrebbero
scaturire decisioni che prevedono l'adozione di comportamenti razionali. Pertanto,
l'imperativo del "buon andamento"
si converte sul piano operativo nel prestare particolare attenzione:
a) alle scelte da
adottare, che devono essere guidate dai principi enunciati dalle tre "E";
b) alle procedure da
seguire, che impongono il coinvolgimento degli altri principi;
mentre
la "imparzialità" chiama
in causa quella posizione di neutralità che deve permeare il comportamento di
tutti gli operatori, dovendo evitare disparità di trattamento nel prendere in
considerazione l'intreccio degli interessi coinvolti. Questi ultimi trovano
ulteriore garanzia nell'articolato della norma sul procedimento amministrativo
(Legge n° 241/1990 «Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi»)
che prevede:
1) l'esistenza di un
Responsabile del Procedimento (articolo 5);
2) la partecipazione
e l'intervento al/nel procedimento (articolo 7 e articolo 9);
3) la pubblicità del
fascicolo (articolo 10);
4) l'obbligo di motivazione
(articolo 3);
5) la
predeterminazione dei criteri per l'ottenimento di vantaggi economici (articolo
12).
Infine,
la mancata conformità dell'azione amministrativa al dogma della trasparenza,
che, in un certo senso, fa da cornice agli altri principi, impatta
negativamente su quelli fondamentali, poiché stimola la diffusione di atteggiamenti
promossi dalla volonta di tutelare interessi di parte. E' facile comprendere,
quindi, come dal rispetto delle regole sancite dalla Costituzione possano
discendere implicitamente tutta una molteplicità di condotte, la cui
combinazione configura il pubblico agire, che nella responsabilizzazione trova
l'asse portante di una Pubblica Amministrazione più credibile.
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Semplice n° 9/Settembre 2010 con il titolo «Pubblica Amministrazione tra principi e responsabilità»