Esiste
una errata opinione in merito al concetto di imposizione fiscale. In altre parole, si tende ad associare il significato
di “maggiori tasse” a quello di “maggiore equità”, per sottolineare che
l’effetto diametralmente opposto, ossia quello imperniato su un minor carico
tributario, corre il rischio di accentuare il fenomeno della diseguaglianza. Se si fonda la propria
convinzione su questo abbinamento della politica fiscale, è comprensibile che
per deduzione si pervenga alla conclusione appena descritta. Infatti,
l’enunciato ha una sua derivazione logica poiché nasce dalla ipotesi posta all'origine
del suo concepimento. Partendo, appunto, da uno scenario nel quale la diseguaglianza
derivi da un preesistente regime fiscale, è opinione diffusa che solo
attraverso un intervento mirato a ricalibrarne (in senso incrementale) l'architettura
impositiva possa correggere le distorsioni presenti nel sistema economico. In
altri termini, anziché estirpare il problema alla radice, perfezionandone i
presupposti, è preferibile orientare la decisione di governo verso scelte di second best, ossia situazioni ritenute
comunque ottimali, ma nelle quali non tutto ciò che si desidera si può
avverare. In pratica, la tesi che persegue questa strada poggia sul fatto che, essendo
impossibile eliminare definitivamente la diseguaglianza, solo una maggiore
tassazione è in grado di apportare miglioramenti, facendo convergere il sistema
economico verso un contesto improntato a maggiore equità. L’alternativa di
ridisegnare un impianto fiscale caratterizzato da aliquote impositive inferiori
non è mai oggetto di considerazione, perché è ferma la convinzione che l'equivalenza
descritta in apertura trova analoga corrispondenza se al termine "maggiore" fosse sostituito il suo
opposto. Poiché l'oggetto del contendere è quello relativo al perseguimento
dell'obiettivo di una maggiore equità e non quello inerente la riduzione della
diseguaglianza, è naturale che per ottenere il risultato atteso sia più facile
agire sull'incremento della pressione tributaria. Operare in direzione opposta
significherebbe addentrarsi in un ginepraio dagli esiti poco scontati, perché
mettere in discussione pratiche consolidate dalla prassi comporta sempre un
dispendio di energie superiori ai benefici immaginati. Continuando ad assumere
decisioni pubbliche nel rispetto di questa perversa filosofia di pensiero, il
rischio è quello di accentuare le iniquità esistenti. Infatti, se il target della maggiore equità si propone
di colpire sempre i "soliti noti",
ossia quella porzione di popolazione che rispecchia la maggioranza nel rapporto
individuato dalla Legge di Pareto, a
maggior ragione si può affermare che la ripartizione della ricchezza non segue
un andamento probabilistico, ma è influenzato da fattori ambientali. In altri
termini, la distribuzione del reddito non dipende dalle abilità dell'uomo qualunque, ma dalle decisioni
dell'uomo di governo, che possono generare
ulteriori ingiustizie dilatando il fenomeno della diseguaglianza.
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Il Nuovo Picchio n° 1/Gennaio 2012 con il titolo «Il dilemma della tassazione»
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