L'approssimarsi
di una competizione elettorale è sempre un'esperienza affascinante.
E' come assistere ad uno spettacolo nel quale i diversi personaggi,
noti o sconosciuti al pubblico, riescono ad intrecciarsi fra loro per
sottoscrivere cartelli di alleanze, pronti per essere smentiti al
sorgere del minimo sospetto. Un conto, però, è la finzione
romanzata in un cortometraggio. Un altro è la realtà evidente che
riserva la vita quotidiana. Se si preferisce accomodarsi in una sala
cinematografica, è possibile rilassarsi con la proiezione del
racconto di Edgar Rice BURROUGHS: "Tarzan
- Il mistero della città perduta".
E se si ha la pazienza di seguire, per filo e per segno, l'intera
sceneggiatura, ci si potrà rendere conto dell'esistenza di qualche
punto di contatto con lo scenario che precede, in un paese, la
chiamata alle urne. Infatti, alla vigilia di una scadenza elettorale,
il Cittadino è perennemente turbato da un incubo ricorrente, nel
quale intravede la sua città minacciata. Proprio come nel film,
quando Jane PORTER, in procinto di unirsi in matrimonio con Tarzan, è
sconvolta da un sogno premonitore, nel quale avverte che il suo paese
è in pericolo. L'inquietudine che perseguita il Cittadino, però, lo
spinge ad aprire gli occhi per evitare che la città nella quale
alberga possa essere depredata di quelle poche risorse, naturali e
non, che ancora è in grado di offrire e che gli appartengono a tutti
gli effetti. Ed è proprio a questo punto che le strade (o meglio, le
trame) si dividono. Come in tutti i racconti fantastici, la vicenda
si indirizza verso un lieto fine. La realtà dei fatti, al contrario,
tende ad incamminarsi lentamente per sentieri impervi e misteriosi.
Infatti, mentre Tarzan, per difendere il paese dai predoni, passa
acrobaticamente da una liana ad un'altra, nella realtà gli abitanti
di una città assistono ad uno spettacolo completamente diverso. E'
il politicante che passa da una recluta ad un'altra nella speranza di
mettere insieme un esercito di marionette in grado di sconfiggere gli
antagonisti. Ma il grattacapo che attanaglia il politicante (non
certo il politico con la "P" maiuscola) è che, spesso e
volentieri, tende a comportarsi come un assorbente. Il suo scopo non
è quello di pensare,
riflettere,
ponderare
e valutare
(perché non ne è capace), ma quello di captare le idee degli altri,
ossia dei cosiddetti "uomini
della strada"
per poter cucinare il suo minestrone di programma. Il problema che
sorge in seguito a questa tipologia di condotta organizzativa sfocia
nell'improvvisazione, nell'incoerenza della programmazione e,
logicamente, nella superficialità delle decisioni. Ciò si verifica
poiché quando si partorisce un'idea, il pensatore generalmente la
esplode nelle sue potenziali conseguenze, cercando di individuare il
percorso critico ottimale per realizzarla. Se, al contrario, si copia
(o si ruba) l'altrui idea, si corre il rischio di ignorarne le
origini, le finalità e gli strumenti attuativi, con la triste
conseguenza di dar vita ad un mostro. In aggiunta, la scivolosità
(intesa come sinonimo di "viscidità", la cui cacofonia è
poco gradevole) di certi politicanti si manifesta in maniera assai
subdola e consiste in corteggiamenti,
complimenti
e incoraggiamenti,
per poi sfociare, dopo aver avvolto la vittima di saliva, in promesse
di candidature che, in occasione di incontri "carbonari"
sono prontamente smentite per potersi garantire l'appoggio di qualche
"potente". Questi personaggi credono, in cuor loro, di
avere qualcosa di vischioso, nel senso che, una volta adocchiata la
recluta (spesso considerata alla stregua di un novellino o di un
pivello) e addolcito il piatto, questa rimane attaccata come
l'insetto sulla ragnatela. Ed è proprio allora che emerge la
puerilità di certi atteggiamenti, fatti di vezzeggiativi che
racchiudono in sé elementi dispregiativi, che si collocano oltre il
confine del rispetto e della stima. Peccato che questa filosofia
comportamentale era già stata ben descritta dallo psicologo canadese
Eric Leonard BERNSTEIN, creatore della teoria dell'analisi
transazionale, nel libro "What
do you say after you say hello?"
(Grove Press, 1972). Anche se il riferimento originario era al
contesto lavorativo, non sussiste alcuna difficoltà nel calarne la
morale in ambito politico, per lasciare al lettore o al politicante
la libertà di potergli dare l'interpretazione che meglio si adatta
alla propria personalità: «Cosa
attribuisce al dirigente superiore il "diritto" di parlare
ad un operaio come ad un bambino? Aiutando le persone a notare il
modo in cui si comportano, è possibile aiutarle anche a cambiare il
loro approccio in modo costruttivo, così da evitare irritazioni e
spiacevolezze».
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: www.tigulliana.org (nella Rubrica "Diritto di Parola") del 01 febbraio 2014 con il titolo «Il politicante della città perduta»
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