«Giuro di essere
fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse
esclusivo della Nazione». Quante volte abbiamo ascoltato questo
ritornello cantilenante? Difficile dirlo con esattezza. Eppure, in prima
approssimazione, sarebbe sufficiente una semplice operazione aritmetica:
moltiplicare il numero dei Governi che, dal dopoguerra ad oggi, si sono
avvicendati per il numero dei Ministri che sono stati nominati. Ma quanto di
vero e rispettoso per le Istituzioni si può rintracciare in quella formula
magica recitata all’inizio di ogni legislatura, in occasione di eventuali
rimpasti o formazione di nuove maggioranze? Anche in questa circostanza è
abbastanza arduo tentare di fornire una risposta precisa. Con un distinguo,
però, rispetto al medesimo interrogativo posto all’inizio di questa breve
riflessione. Nel primo caso, infatti, il numero ricercato tende ad un ipotetico
“infinito”, per sottolineare che si tratta, comunque, di una cifra elevata. Nel
secondo caso, al contrario, il numero da decifrare tende ad un intorno
ravvicinato di “zero”, per rendere l’idea che appaiono rare le volte in cui la
formula adoperata è rispettata alla lettera. Come leggere o interpretare il
significato di un giuramento di tale tenore alla luce di vicende che, nel corso
degli anni, si sono via via succedute? Come attribuire validità e veridicità ad
una recita nelle mani del Presidente della Repubblica? Come valutare ogni
successiva critica da parte dei Ministri al delicato, quanto prezioso, lavoro
dei Magistrati ed al contenuto delle Sentenze? Come decodificare ogni proposta
di legge, che spesso porta orgogliosamente il nome dei Ministri proponenti, di
fronte ad una successiva dichiarazione di incostituzionalità pronunciata dalla
“Consulta”? Tutti interrogativi legittimi, destinati ad un serio approfondimento
per non rimanere senza risposta. Eppure, una soluzione la si potrebbe facilmente
individuare nell’adottare un comportamento votato al rispetto di quelle
Istituzioni nei confronti delle quali si è proprio giurato fedeltà all’inizio
di un mandato governativo: decadenza automatica dalla carica, senza alcuna
possibilità di appellarsi al Parlamento per un voto di convalida. Questa
soluzione potrebbe rappresentare un meccanismo molto semplice per conferire un valore
più elevato alla pratica del giuramento e garantire l’assunzione di senso di
responsabilità nell’esercizio del proprio mandato. In caso contrario, quella
formula potrebbe tradursi in un rito inutile che va a rafforzare l’idea, ormai
diffusa, che in Italia tutto si fa per poi non essere rispettato, alla stregua
di una promessa non mantenuta che, nel caso di un giuramento, trova la sua
essenza vitale.
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Il Nuovo Picchio n° 1o-11/Ottobre-Novembre 2013 con il titolo «Giuramento di fedeltà alla Repubblica, promesse al vento»
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