Da quando il legislatore ha
emanato i primi provvedimenti normativi in materia contabile, nonostante sia
già trascorso oltre un decennio, i risultati raggiunti nella direzione di una
migliore allocazione delle risorse finanziarie pubbliche tardano a
concretizzarsi. Ancora oggi, la produzione parlamentare disciplinante regole e
comportamenti dell’attività degli Enti Locali continua a contenere elementi
fortemente innovativi, che non trovano, sul fronte opposto, piena attuazione a
causa delle resistenze che ogni volta si scatenano sotto forma di barriera al cambiamento. L’obiettivo
delle disposizioni che hanno fatto seguito al Decreto Legislativo n° 77/1995
«Ordinamento finanziario e contabile
degli Enti Locali», pioniere in materia, era quello di dar vita ad un
processo irreversibile di radicale mutamento nella filosofia gestionale
degli Enti Pubblici. In altre parole, se una trasformazione doveva esserci,
questa avrebbe dovuto essere drastica e non graduale, in quanto «fare
ciò che si faceva ieri, o farlo il 5% meglio, non è più una formula per il
successo» (John KOTTER: «A force for change: how leadership differs
from manager» - Free Press - 1990). Il nuovo modo di concepire
l’amministrazione della “cosa pubblica”
ha impattato con la scarsa propensione al change
management incorporata negli Amministratori/Dirigenti degli Enti Locali,
che hanno concentrato l’attenzione sulle
cose non essenziali, agito ai
margini, accentuato l’esistente
ed eliminato il radicale. In altre
parole, hanno fanno credere di essersi adoperati per il cambiamento per
lasciare il sistema organizzativo uguale a prima. Infatti, anziché cavalcare
l’onda innovativa che si andava sviluppando, hanno reagito come struzzi,
isolandosi dall’ambiente circostante per rimanere ancorati a schemi giurassici
collaudati. Non è facile addentrarsi nei particolari per cercare di capire
quali forze entrano in competizione tra loro di fronte al cambiamento,
orientando il modo di agire delle persone verso l’esaltazione, a parole, dei
processi innovativi, ma ostacolandoli, di fatto, in tutte le loro forme di
manifestazione. Una spiegazione non esaustiva al fenomeno può leggersi nella
testimonianza che, in occasione di un intervento sul tema della
ristrutturazione aziendale, fece Robert HOOD, manager della DOUGLAS AIRCRAF COMPANY. Egli
osservò che: «All’interno dell’azienda,
esistono dei personaggi, alcuni manager dello strato intermedio che - a causa
del maggiore spostamento di autorità e responsabilità verso i livelli inferiori
- pensano di perdere le loro posizioni e continuano ad opporsi». Aveva
compreso che di fronte ad un contesto ambientale in continua evoluzione, il
cambiamento organizzativo non era altro che la reazione naturale di fronte ad
una minaccia o opportunità. Le leggi sono sempre state interpretate in senso
restrittivo, mettendo in risalto divieti e ricercando vincoli, anziché cogliere
quelle elasticità che, pur essendo presenti nell’intenzione del legislatore,
sono sistematicamente occultate in sede applicativa senza alcuna logica. Spesso
all’interno della struttura organizzativa pubblica, nel momento in cui si tenta
di affrontare un procedimento con spinte verso la semplificazione
amministrativa, il vertice burocratico interviene tempestivamente con una
reazione seccata, che si nasconde dietro l’affermazione: «La legge non lo prevede». Si tratta di un esempio in negativo
rientrante in quella casistica di eventi che l’Amministrazione Pubblica
ostacola immediatamente per tamponare il sorgere di potenziali problemi legati
indirettamente alla erogazione di servizi all’utenza finale. L’atteggiamento di
chiusura mentale di fronte ad innovazioni procedimentali non può continuamente
essere tollerato accettando risposte che nascondono, dietro la sterile
motivazione illustrata, l’incapacità decisionale di coloro che dispongono del
potere per risolvere i problemi degli utenti finali, garantendo la
soddisfazione ai loro bisogni. Il fatto stesso che la norma non contempli una
determinata fattispecie o una particolare modalità di gestione di una
problematica, non vuole assolutamente significare che la stessa possa essere
affrontata e risolta con strumenti non disciplinati dal legislatore. Anzi,
l’obiettivo del dettato giuridico non è quello di stimolare l’Amministrazione
Pubblica a reagire per trovare il
modo di osteggiarne i principi attuativi, ma quello di agire per il perseguimento di interessi generali, tracciando, da un
lato, linee guida comportamentali e, dall’altro, lasciando ampia libertà di
movimento all’interno del confine disegnato dalla direttiva. La disciplina
contabile, sin dalla metà degli anni Novanta, ha voluto premere
sull’acceleratore per accorciare in breve tempo la distanza esistente tra il
modello di gestione dell’Ente Pubblico e quello dell’azienda privata. La
finalità era quella di impedire la continua dispersione di risorse pubbliche
per effetto di una loro gestione incontrollata, disorganizzata e improvvisata,
capace solamente di generare attività improduttive di benefici tangibili per
coloro che sono chiamati a finanziare l’Ente Pubblico: i Cittadini. Sono stati
individuati strumenti alternativi con i quali poter realizzare un’allocazione
mirata delle risorse a disposizione, eliminando sprechi ed inefficienze per
migliorare l’offerta di servizi e il grado di soddisfazione dei bisogni. In
questo contesto, si è inserito il Piano
Esecutivo di Gestione (PEG) con il
quale, una volta definiti gli obiettivi e le dotazioni a disposizione, si
individua un soggetto al quale affidare la responsabilità del loro
raggiungimento. Il Piano Esecutivo di Gestione non deve essere confuso con il
Bilancio Preventivo, dal quale trova giustificazione della sua coerenza di
contenuto esclusivamente in termini finanziari. Pur non essendo previsto da
alcuna norma, ciò che manca nell’Ente Locale è uno strumento che rappresenti il
collante tra il documento finanziario di previsione e quello deputato a
definire gli obiettivi da raggiungere con le risorse a disposizione. Infatti,
il Bilancio Preventivo ed il Piano Esecutivo di Gestione dovrebbero costituire
l’essenza dell’attività di programmazione nell’Ente Locale, mentre col tempo
l’attenzione dedicata alla loro preparazione e verifica è andata scemando. Oggi,
nella maggior parte degli Enti Locali, si assiste allo svolgimento di una
triste attività ripetitiva, che concentra energie mentali sulla combinazione
dei comandi “copia” e “incolla” ai file dell’esercizio precedente, indipendentemente da come si sono
sviluppate le precedenti gestioni. Ciò che è assente è un insieme coordinato di
attività che nel settore privato si traducono nel controllo budgetario, con le quali in via preventiva si potrebbe
verificare la fattibilità degli obiettivi da decifrare nell’apposito documento,
controllare l’andamento durante la gestione e determinare, al termine
dell’esercizio, la modalità del loro raggiungimento. Nel Piano Esecutivo di
Gestione gli obiettivi sono spesso la risultante di una grezza estrapolazione
dalle risorse stanziate nel documento di previsione, senza alcun collegamento
logico con le dotazioni strumentali e umane disponibili, con le esigenze
dell’Ente o, peggio ancora, con i bisogni da soddisfare. La natura del loro
conseguimento è completamente distorta ed interpretata a piacimento solo per
giustificare l’erogazione di un’indennità di risultato o altre forme di
incentivi monetari ai responsabili. Si dimentica, o per opportunità si
tralascia, che un target va
analizzato considerando non solo il grado di raggiungimento rispetto a quanto
definito in sede di programmazione, ma soprattutto le modalità con le quali è
stato perseguito. Purtroppo, nella realtà accade spesso che gli obiettivi
dell’Amministrazione Pubblica si considerano realizzati quando i procedimenti
amministrativi si sono esauriti, senza ponderare gli effetti che vanno ad
incidere sulla sfera giuridica dei soggetti interessati. Operando in questa
direzione, senza opportuni meccanismi di controllo a supporto delle decisioni,
ulteriori risorse saranno depauperate a vantaggio di quei pochi intimi ai quali
è riconosciuta una responsabilità di risultato, mentre all’esterno dell’Ente
Locale i problemi continuano a rimanere irrisolti. Attraverso lo sviluppo di
quelle attività che caratterizzano il budgetary
control sarà possibile mettere a disposizione dell’Ente Locale uno
strumento idoneo non solo per misurare correttamente gli obiettivi definiti ex
ante, ma capace, altresì, di attribuire un valore preciso alle prestazioni
eseguite per il loro raggiungimento. Solo in questo modo al concetto di “responsabilità” si potrà assegnare il
reale significato, altrimenti servirà per legittimare la distribuzione di quote
di ricchezza pubblica, senza aver ricevuto in contropartita un’analoga
sensazione di soddisfacimento di bisogni.
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Semplice n° 5/Maggio 2013 con il titolo «Il controllo budgetario come strumento di valutazione delle prestazioni»
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