In
ogni democrazia degna di tale nome, solitamente ci si interroga
costantemente in merito alle decisioni portate avanti da coloro che
detengono lo scranno del potere. In parole povere, la questione
oggetto di riflessione è perennemente quella che ruota intorno al
dilemma irrisolto se una maggioranza congressuale o parlamentare sia
sufficiente a configurare il pieno rispetto delle regole
democratiche. E'
proprio su questo aspetto che, generalmente, i mestieranti della
politica saliti, fortunosamente o rocambolescamente, agli onori della
cronaca tendono a commettere puerili errori di interpretazione e
valutazione. Non è sufficiente, infatti, pretendere che una
deliberazione approvata dalla maggioranza assembleare conferisca ad
un governo piena autorità e diritto di portare avanti quella
decisione. In
un regime dove il significato di democrazia sia veramente rispettato,
la popolazione, tendenzialmente, ottiene quello che chiede, e, cosa
ancora più importante, in genere non riceve quello che non chiede.
Il risultato della competizione democratica non dipende solo dal
rispetto delle procedure e delle regole, che sono così preservate,
ma anche dal modo in cui le diverse alternative esistenti e possibili
sono usate dai Cittadini che non occupano una poltrona nell'assemblea
rappresentativa. E'
un concetto che si spinge oltre la generale filosofia di pensiero.
Per questo è sempre più necessario ed opportuno uscire dagli schemi
collaudati del proprio tornaconto personale per andare al di là di
quella visione miope che appartiene a coloro che sono in possesso di
una cultura campanilistica. Questa
è una delle ragioni per cui è fondamentale avere l’abilità e la
capacità di tesaurizzare esperienze vissute e raccontate, con
profonda umiltà, da personaggi che hanno rivestito cariche politiche
importanti e hanno percepito che qualsiasi sfida futura può essere
vinta solo se tutti i partecipanti al gioco sono alla fine
trionfatori. Ben
lungi dal voler affermare che ogni manifestazione di volontà
politica debba essere improntata al compromesso. In quest’ultimo
caso, infatti, la risultante si è rivelata il più delle volte un
mero fallimento, perché nessun beneficio ne ha tratto la
collettività. Ciò
che, al contrario, si vuol cercare di far comprendere è che
qualsiasi decisione che impatta sui Cittadini deve essere del tipo
“win-win”,
sia per chi la adotta, sia per coloro sui quali si produrranno le
conseguenze. Questa è la direzione verso la quale deve tendere
l’esercizio del potere da parte di amministratori. Essenziale è
che essi devono essere disinteressati a raccogliere frutti personali,
o di breve periodo, per consentire a tutti indiscriminatamente di
poterne trarre vantaggi perpetui. A
poco serve aggredire con supponenza gli avversarsi, vomitandogli
addosso i peccati commessi nelle precedenti gestioni. Sarebbe
maggiormente produttivo fargli capire che le deliberazioni adottate
non hanno prodotto i risultati sperati o, in alternativa, hanno avuto
un contenuto scarsamente lungimirante, tamponando un’emergenza del
momento e creando le premesse per un disastro futuro. La
lezione storica, però, non sembra aver sortito alcun effetto, anzi
pare aver rinforzato comportamenti devianti rispetto all’interesse
pubblico. E' un discorso articolato e complesso, ma che sicuramente
trova ampio consenso nelle parole espresse, con grande chiarezza, da
Fidel VALDEZ RAMOS (ex Presidente delle Filippine) durante un
discorso tenuto nella città di Canberra presso la sede
dell'Università nazionale australiana il 26 novembre 1998. L'occasione
era la relazione inaugurale sul tema "Democracy
and the East Asian Crisis"
tenutasi al Centre for
Democratic Institutions.
Il suo intervento, di cui si riporta uno stralcio, è a distanza di
anni ancora di grande importanza per ciò che significa la
democrazia. Egli affermò: «Sotto
un regime dittatoriale la gente non deve pensare né scegliere, non
deve prendere decisioni o dare il proprio assenso. Deve solo eseguire
... Una democrazia, al contrario, non può sopravvivere senza virtù
civica! ... Oggi, la sfida politica che ci sta davanti in tutto il
mondo non è solo quella di sostituire dei regimi autoritari con
regimi democratici. E' più di questo: è far funzionare la
democrazia per la gente comune». Se
si rilegge il contenuto di questo ragionamento è facilmente
comprensibile come nella società di oggi avvenga l’esatto
contrario. E mano a mano che si scende dal governo nazionale a quello
locale più si acquisisce la consapevolezza di trovarsi agli antipodi
della democrazia. Le decisioni non sono assunte per andare incontro
ai bisogni dei Cittadini, ma per soddisfare pruriti dei governanti
che non hanno alcuna finalità se non quella di sperperare il denaro
pubblico. Questa
cattiva abitudine nasce da un impellente bisogno da soddisfare: la
visibilità. Erroneamente, è convinzione diffusa che essere
persistentemente in primo piano faccia acquisire d'ufficio un certo
potere. Ma quale vantaggio personale si ottiene ad apparire sui media
quotidianamente? Sicuramente,
uno dei benefici è quello della conquista artificiosa di una
credibilità immediata, che, immacabilmente, è poi smentita dai
fatti. Quindi, spesso accade che la visibilità a lungo andare si
traduca in un boomerang,
perchè il Cittadino conosce perfettamente il personaggio politico al
quale attribuire le colpe di tutto ciò che non funziona come
dovrebbe. Non
è un caso, infatti, che quando le cose procedono bene senza attriti,
la mancanza del ruolo strumentale della democrazia può anche non
essere percepita. Emerge, però, con prepotenza quando, per una
ragione o per l'altra, la situazione inizia a complicarsi. Ed è
allora che gli incentivi politici forniti dalla forma di governo
democratica acquistano un grande significato pratico. Ad
esempio, capita spesso che quando un politico matura la convinzione
di rendere pubblica una notizia, lo fa per nasconderne un'altra dalle
conseguenze ancora peggiori. Come sosteneva Francesco GUICCIARDINI
nel Cinquecento, si tratta di quelle decisioni prese nei corridoi del
potere, che devono restare confinate dietro quella cortina fumogena
che oppone il palazzo alla piazza. In altre parole, si realizza quel
paradosso secondo il quale il popolo sa quello che fa chi governa, o
della ragione perché lo fa, quanto delle cose che si fanno in un
posto sperduto nel mondo. L'evidenza
ha trasmesso involontariamente una pesante eredità: il potere è più
difficile da conquistare che non conservare. E questo può costituire
l'anello debole del sistema democratico, perché il consenso
elettorale una volta esercitato non ha più alcuna possibilità di
essere nuovamente verificato fino al termine della legislatura. Ed
è proprio durante questo lasso temporale che chi detiene il potere
inizia a mettere le radici, riuscendo incredibilmente a calamitare
vicino a sé il peggio della società civile, piuttosto che gli
appartenenti alla classe elitaria del mondo culturale e
intellettuale. Questo è il tumore della democrazia, che riesce a
fondare la sua sopravvivenza sui leccapiedi e non sulle persone
capaci e valorose. Ossia, sui "ben
disposti"
piuttosto che sui "predisposti". A
tutto c'è però non solo un limite, ma anche un rimedio. Infatti,
il sistema può essere scardinato se si consentono e si incoraggiano
discussioni aperte su ogni materia che impatta sulla collettività.
Lo aveva già fatto osservare Vilfredo PARETO in un celebre passaggio
del suo “Manuale di
economia politica”
(1906): «Se un certo
provvedimento A sarà cagione della perdita di una lira ciascuno per
mille uomini, e del guadagno di mille lire per un solo uomo,
quest'uomo opererà con grande energia, quei mille uomini si
difenderanno fiaccamente, onde è molto probabile che, infine,
vincerà quell'uomo che, col provvedimento A, mira ad appropriarsi di
mille lire». Nel
contesto attuale, il conseguimento di un interesse economico per
effetto dell’influenza politica è un fenomeno assai diffuso.
Riprendendo l'argomentazione trattata da Vilfredo PARETO, possono
esserci mille persone i cui interessi sono lievemente danneggiati da
una politica sfacciatamente favorevole a quelli di un solo uomo
d'affari. Una
volta, però, che la fattispecie sia compresa in modo chiaro, è più
facile che si riesca a formare una maggioranza contraria alle sue
egoistiche richieste. Questa dialettica si posiziona sul terreno
ideale per impiantare una discussione pubblica delle tesi e
controtesi di entrambe le parti, perché in una democrazia aperta,
l'interesse collettivo potrebbe anche avere ottime probabilità di
battere la difesa, per quanto esagitata, degli interessi consolidati
di una lobby.
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Il Futurista del 09 settembre 2011 con il titolo «Qui tra democrazia e potere si è rotto qualcosa»