Come volevasi dimostrare!
Con queste tre parole, ai tempi delle scuole superiori, si usava
concludere quei problemi di geometria che si proponevano di
dimostrare, in modo scientifico, ciò che a prima vista sembrava
"ovvio". Invece, di "ovvio" non c'era proprio
niente! Se si voleva argomentare in merito alla validità di una ben
determinata affermazione, era necessario accompagnarla da una
minuziosa e dettagliata dimostrazione della tesi sostenuta, partendo
dalle poche ipotesi di cui si disponeva. Una volta, poi, riusciti
nell'ardua impresa, spesso dopo giorni di tentativi assurdi, ci si
rendeva conto che, effettivamente, la realtà non albergava nella
"ovvietà", altrimenti chiunque avrebbe potuto, nel corso
della sua vita, lanciarsi nella propaganda di postulati, ossia di
proprietà che non necessitano di alcuna dimostrazione, in quanto
ritenute vere "per definizione". Oggi, la politica ci ha
abituato a sopportare slogan ad effetto, capaci di convincere
anche il più testardo Cittadino, tralasciando ipotesi che, spesso,
rendono quell'annuncio privo di qualsiasi sostenibilità futura,
generando così risultati che si dirigono, tristemente, nella
direzione opposta a quella prospettata. Le conseguenze sono talmente
disastrose che il concetto iniziale di "come volevasi
dimostrare" ha, paradossalmente, lo stesso significato (ma
opposto) rispetto all'obiettivo raggiunto durante la dimostrazione di
un teorema. E' per queste ovvie (qui nel vero significato del
termine) ragioni che, in Italia, qualsiasi tentativo mirato alla
risoluzione di una questione, ha la capacità di contribuire ad
ampliare le dimensioni del problema anziché risolverlo. Non occorre
fornire elaborate dimostrazioni scientifiche sulla validità delle
politiche adottate, sarebbe sufficiente partorire qualcosa che non
solo sia di buon senso, ma ... abbia senso. L'ormai famoso "bonus
fiscale", ad esempio, non ha prodotto gli effetti desiderati:
non ha incentivato i consumi e, conseguentemente, non ha contribuito
al rilancio dell'economia ed, in ultima analisi, alla riduzione della
disoccupazione, con particolare riferimento a quella giovanile. Gli
ultimi dati provvisori, resi pubblici dall'ISTAT, parlano chiaro: a
febbraio la disoccupazione giovanile (ma anche quella complessiva) è
tornata a salire, raggiungendo un picco del 42,7%. Forse, il
problema era un altro oppure, geometricamente parlando, le ipotesi di
base per risolverlo erano sbagliate e non utili per dimostrare la
tesi. L'importante però è continuare a stordire il popolo con
discorsi logorroici, usando parole ad effetto capaci di far
dimenticare il passato e spostare l'ago dell'attenzione su un
ipotetico futuro, dimenticando che viviamo nel presente. Perché se
oggi ci siamo, un domani non vorremo dire ... ci risiamo! E se oggi
nulla è cambiato rispetto al passato è perché nulla cambierà in
futuro rispetto ad oggi. E' un dato di fatto: come volevasi
dimostrare!
Author: Emanuele COSTA
Published by: Il Nuovo Picchio n° o3/Marzo 2015 con il titolo «Disoccupazione giovanile? Ci risiamo ...»
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