Non è trascorso molto tempo dalla recente
apparizione del leader del PDL alla trasmissione televisiva "Servizio
Pubblico" in onda su La7. Un evento che, a partire dal giorno
seguente, non ha mancato di suscitare ampie discussioni (peraltro, scontate
qualunque fosse stato l'esito). Polemiche collegate non tanto alle sceneggiate
cui il numeroso pubblico, presente in sala o a casa davanti al televisore, si
era reso partecipe, ma al potenziale effetto leva (che poi puntualmente si è
verificato) che il PDL avrebbe potuto avere in vista della successiva
competizione elettorale. Eppure l'ex Premier, nel difendere la sua
"impossibilità" a governare nell'ambito delle regole
costituzionali, ne ha correttamente spiegato i motivi. Tuttavia, avrebbe potuto
essere maggiormente costruttivo e non limitarsi ad una sterile denigrazione di
una Carta Costituzionale che il mondo, sotto molti aspetti, ci invidia. Senza
alcuna pretesa di essere esaustivi, anche perché non è questa la sede per
un'approfondita trattazione della materia, è noto a molti (e si spera a tutti)
che il sistema parlamentare è bicamerale (Camera dei Deputati e Senato della
Repubblica). Questa configurazione, se da un lato comporta una duplice e più
approfondita disamina dei testi normativi, dall'altro implica una enorme
perdita di tempo, per effetto della cosiddetta "navette" tra
le due aule del Parlamento, qualora un provvedimento in discussione in una
delle due subisca delle modifiche volte a migliorarlo rispetto al testo
approvato dall'altra. Solo quando la proposta di legge è condivisa nel medesimo
dispositivo da entrambi i rami del Parlamento, allora potrà diventare
esecutiva. Per stringere i tempi di approvazione, garantendosi l'appoggio
almeno della maggioranza che sostiene il Governo, in tempi non sospetti era
stata approvata quella sciagurata legge elettorale (non a caso soprannominata
"Porcellum") in modo da garantire al candidato Premier
di far sedere in Parlamento un esercito di "yesman"
pronti a legare l'asino dove vuole il padrone. In altre parole, senza mettere
in discussione il volere del Governo e far sì che ogni legge approvata dal
Parlamento si riduca ad una replica dell'espressione di volontà del potere
esecutivo. La storia, però, ha riservato amare sorprese e nemmeno lo
stratagemma del "Porcellum" è riuscito a limitare la sovranità
popolare per mezzo di un Parlamento ridotto a fare il verso del pappagallo al
Governo. Viene, quindi, da chiedersi: "Non esisteva altra alternativa
per ridurre i tempi di approvazione delle leggi?". In realtà, un'altra
opzione poteva essere scelta. Avrebbe conferito maggiore credibilità all'azione
di governo, ma avrebbe comportato, sotto il profilo politico e degli interessi
personali, una perdita di potere, di prestigio, di incarichi
da distribuire e di poltrone da occupare. Si sarebbe potuto agire
riformando la Costituzione, prevedendo un Parlamento unicamerale. Questo
avrebbe consentito la contestualità di diversi benefici: riduzione del numero
dei parlamentari, accelerazione dei tempi di approvazione delle leggi, maggiore
efficienza dei lavori parlamentari, maggiore efficacia nell'azione di governo e
riduzione dei costi della politica. Al contrario, si è preferito correre in
un'altra direzione, quella più veloce della riforma della legge elettorale. La
riforma Costituzionale avrebbe richiesto tempi biblici, ma se all'epoca del
"Porcellum" fosse stata attuata, oggi non se ne parlerebbe
più!
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Il Nuovo Picchio n° 02-03/Febbraio-Marzo 2013 con il titolo «Elezioni: mai più con il "Porcellum"»
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