Carissimo Direttore, ho
apprezzato molto la Sua preziosa considerazione economica che,
partendo dall’analisi degli accordi di Bretton Woods (1944),
ci ha consapevolmente riportato alle potenziali origini dell’attuale
e persistente crisi economica. Tuttavia, con questo mio modesto
contributo, mi sia consentito (e, conoscendo l’alto riconoscimento
che Ella ha per la libertà di stampa e di opinione, ho la certezza
che lo sarà) di dissentire, almeno parzialmente dal profilo che la
Sua riflessione ha piacevolmente delineato. E’ necessario precisare
che ogni decisione di natura economica va sempre calata nel contesto
storico in cui è stata adottata e non può considerarsi valida o
sostenibile in scenari profondamente mutati rispetto a quelli
originari. In altre parole, il meccanismo basato sul cosiddetto “Gold
Exchange Standard”, vale a dire la libera e completa
convertibilità del dollaro in oro era, già in partenza, viziato da
un difetto di base non trascurabile. Infatti, mentre la moneta
cartacea (nella fattispecie la divisa americana) poteva essere
materialmente stampata dalla Federal Reserve (pur nei vincoli
di politica monetaria), il metallo giallo non era disponibile in
quantità illimitata, in quanto la sua materiale produzione dipendeva
dalla scoperta di nuovi filoni aurei dai quali poter estrarre il
metallo prezioso. Quindi, se tutti avessero chiesto la conversione
dei “biglietti verdi” in oro, prima o poi si sarebbe attinto
all’ultimo lingotto disponibile. Non è, pertanto, un caso se quel
meccanismo, da ipotetico stabilizzatore del sistema economico
internazionale del dopoguerra, si arrugginisse con il trascorrere del
tempo, minando le sue capacità intrinseche in modo così
irreversibile da richiedere una profonda revisione, che non poteva
essere attuata se non dalla parte di quello Stato che, all’epoca,
lo aveva sponsorizzato. Poiché il target alla base della
scienza economica è quello di approfondire il comportamento delle
diverse variabili per cercare di adottare appropriate politiche in
grado di accompagnare il sistema verso l’equilibrio o la stabilità,
uno strumento non può mai essere la soluzione valida per l’eternità,
specie se cerca, da un lato, di imporre regole fisse sui cambi, la
cui fluttuazione è demandata al mercato e, dall’altro, la
sostenibilità a decisioni di natura politica che, generalmente, si
propongono obiettivi diversi a seconda dello Stato nel quale sono
messe in pratica. In sintesi, è stato un tentativo molto ambizioso
cercare di conseguire la convergenza di un rapporto di cambio
attraverso politiche divergenti. Come recita una delle varianti di un
detto popolare, «a furia di tirare la corda, prima o poi si
spezza» e la profezia non ha tardato a verificarsi in un sistema
imperniato prevalentemente su cambi fissi. La storia, tuttavia, non
insegna mai abbastanza e per tamponare gli errori commessi in passato
si cerca sempre di correre ai ripari con strumenti diversi nella
forma, ma non nella sostanza. In altre parole, si insiste sempre nel
pretendere di voler imbrigliare il mercato, il cui spirito libero non
ammette limitazioni di sorta. Ciò che, eventualmente, deve essere
regolamentato è il comportamento degli operatori e non un meccanismo
il cui funzionamento è determinato dall’agire umano. Per dirla
come Friedrich August VON HAYEK: «Non importa se si guida a
destra o a sinistra purché tutti facciano lo stesso. La cosa
importante è che la regola consente di prevedere il comportamento
delle altre persone correttamente in tutti i casi, anche se, in un
caso particolare, ci sembra ingiusto» (“The Road to
Serfdom”, Rouledge, 1944). E poiché gli shock in
economia sono sempre in agguato e, peraltro, si manifestano senza
alcun preavviso, non ci si può affidare ciecamente a meccanismi di
funzionamento del sistema creati senza prevedere, nel contempo,
idonei strumenti di salvaguardia. Il sistema ideato e adottato nel
corso della Conferenza Internazionale di Bretton Woods era
destinato a funzionare in condizioni di stabilità e a fallire
miseramente alla prima vibrazione dei mercati. Le crisi
internazionali verificatesi agli inizi degli Anni Settanta, infatti,
hanno contribuito a dare il colpo di grazia alla fragilità di
quell’accordo, costringendo gli Stati Uniti a mettere la parola
“fine” alla convertibilità del dollaro in oro. Per rimediare
all’insuccesso di quello strumento ne è stato realizzato, pochi
anni più tardi, uno simile su scala europea (il Sistema Monetario
Europeo) la cui sorte era, ovviamente, già segnata in partenza. Poco
più di un decennio dopo, la speculazione sui tassi di cambio ne
aveva minato le fondamenta edificate su un terreno costituito da
politiche comunitarie che in comune, forse, avevano ben poco.
Author: Emanuele COSTA
Published by: Bacherontius n° o4/Dicembre 2015 con il titolo «Oltre la crisi c'è speranza?»
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