Dal
punto di vista internazionale, i paesi sviluppati ed, in
primis,
l'Italia devono essere consapevoli che la globalizzazione è un
processo continuo ed irreversibile di innovazione e crescita. Secondo
l'economista americano Joseph E. STIGLITZ ("Globalisation
and Its Discontents",
W.W.
Norton & Company,
2002) «la
globalizzazione è una forza positiva che ha portato enormi vantaggi,
ma per il modo in cui è stata gestita, tanti milioni di persone non
ne hanno tratto alcun beneficio e moltissime altre stanno peggio di
prima. La sfida che ci attende oggi è la riforma della
globalizzazione, affinché non porti vantaggi soltanto ai paesi
ricchi e maggiormente industrializzati, ma anche a quelli più poveri
e meno sviluppati».
In Italia, l'opinione generale sembra l'opposta. Infatti, la
percezione è che la globalizzazione ha impoverito la condizione del
paese, in quanto le imprese hanno progressivamente spostato la
produzione o parte di essa all'estero, avvantaggiando quei paesi dove
il costo del lavoro è più basso. Questa filosofia di pensiero,
ovviamente, è dettata dalla mancanza di volontà del Paese di
cambiare. In Italia, si preferisce mantenere lo status
quo,
evitando ogni forma di adattamento ai mutamenti in atto nel mondo
circostante. Questa inazione rischia di portare il Paese a rimanere
arretrato rispetto allo sviluppo del mondo, con pesanti ripercussioni
negative sull'occupazione, a partire dalle giovani generazioni che,
per contro, dovrebbero essere quelle più facilmente propense ad
accettare il cambiamento. Alla
luce di ciò, l’Italia non deve sempre cercare le cause dei suoi
mali all’esterno, dando la colpa oggi alla globalizzazione e domani
ad un altro fenomeno. Le cause della disoccupazione giovanile sono
tutte interne al Paese ed è in questa direzione che occorre lavorare
per invertire il trend
negativo prima che diventi, nel breve periodo, cronico e, nel lungo
periodo, irreversibile. Ma esistono alternative alla globalizzazione?
La risposta è ovviamente negativa, a meno che non si accetti di
ritornare alle politiche protezionistiche di qualche tempo fa. Una
citazione dell'economista americano Paul KRUGMAN ("What
is wrong in Japan",
Nihon
Keizai Shimbun,
1997) può essere utile a far comprendere le eventuali conseguenze:
«Un
automobilista investe un pedone, che è rimasto a terra dietro la
macchina. Guarda indietro e dice: “Mi dispiace, lasciami rimediare
al danno” e in retromarcia passa sopra al pedone di nuovo».
La morale è che è necessario andare avanti, studiando meccanismi
che consentono di convivere con la globalizzazione, sfruttando le
numerose opportunità che offre. Il problema consiste nel fatto che
mentre i rischi e/o gli effetti negativi sono evidenti, le
opportunità sono invisibili. (continua)
Author: Emanuele COSTA
Published by: Il Nuovo Picchio n° o9/Ottobre 2015 con il titolo «Globalizzazione e disoccupazione atto primo»
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