Premessa
Durante la mia permanenza
in Inghilterra, presso la prestigiosa University of Essex, ho
avuto l’opportunità di realizzare alcuni lavori di approfondimento
su tematiche di economia internazionale di forte attualità. Nello
specifico, si tratta di argomenti che, ogni anno, emergono con
prepotenza quasi a voler ricordare che nulla è stato fatto per
risolvere le questioni o, in alternativa, che non si è ancora
trovata alcuna soluzione a problematiche che interessano da vicino,
direttamente o indirettamente, sia i Paesi in via di sviluppo, sia
quelli sviluppati. Uno dei temi sui quali ho voluto concentrare
l’attenzione è quello della cosiddetta “globalizzazione”,
vista, da alcuni, come la causa di tutti i mali dell’economia e, da
altri, come la principale imputata nel processo contro la persistente
crisi economica. Ovviamente, è necessario sempre tenere a mente che
ciò che sembra, non sempre coincide con la realtà. Da qui la
crescente curiosità di indagare a fondo eventuali relazioni tra
globalizzazione e politiche di offshoring per verificare,
sotto il profilo teorico, gli effetti su occupazione e salari. Quando
si affrontano tematiche di questo tenore, la speranza è quella di
dar vita ad un acceso dibattito. Pertanto, eventuali opinioni in
disaccordo non potranno altro che dimostrare di aver centrato
l’obiettivo.
Abstract
La teoria del commercio
internazionale suggerisce che quando un Paese trasferisce parte della
sua produzione all’estero, l’impatto sui lavoratori in quel
Paese, nel lungo periodo, può essere positivo o negativo. Questo
studio analizza, teoricamente, le conseguenze occupazionali e
salariali nei paesi sviluppati indotti dalle politiche di
delocalizzazione adottate negli ultimi trent’anni. Il principale
obiettivo è quello di verificare se il processo di globalizzazione
possa considerarsi la principale causa della disoccupazione o, in
alternativa, se abbia giocato un ruolo chiave nella crisi economica
che persiste nei paesi occidentali.
Sommario
1. Introduzione
- 2. Parola d’ordine: globalizzazione - 3.
Offshoring: esportare occupazione per ridurre i salari interni?
- 4. Conclusioni - 5. Bibliografia.
1. Introduzione
Gli effetti prodotti
dalla crisi economica del 2007 si possono considerare più
catastrofici di quelli generati, nel 1930, dalla cosiddetta “Grande
Depressione”? L’attuale e persistente crisi economica
sembra avere origini antiche o, meglio, più di un padre. Per queste
ragioni non è facile fare un confronto tra i due fenomeni perché,
pur essendo simili nominalmente, in realtà differiscono sotto molti
aspetti. Nello specifico, nel 1930 lo scenario era profondamente
diverso, nel senso che la crisi economica aveva interessato un
ristretto numero di Paesi (in modo particolare Stati Uniti e nazioni
europee) e traeva origine dal settore industriale. Forse, è per
queste ragioni che oggi le persone preferiscono parlare di “crisi
globale” e non semplicemente di “crisi economica”.
Infatti, nei paesi occidentali, lo scenario degli Anni Trenta si
colloca dopo la Prima Guerra Mondiale e un periodo relativamente
breve di espansione economica, mentre oggi, nei Paesi
industrializzati, il contesto nasce da un periodo di circa
sessant’anni di pace, durante il quale i Paesi sviluppati hanno
avuto la possibilità di sfruttare varie opportunità generate da una
graduale integrazione economica, costruendo, contestualmente, le
fondamenta della attuale fase recessiva. Quindi, il problema sembra
avere un solo perdente: il mondo industrializzato, che, per decenni,
ha migliorato, più o meno, il suo livello di benessere. Attualmente,
i Paesi sviluppati stanno ancora lottando per uscire dalla
recessione, mentre le economie meno sviluppate si trovano a fare i
conti con una crescita economica sostenuta. Quindi, ha ancora senso
parlare di “crisi globale”? In genere, le persone tendono
a considerare un fenomeno negativo solo quando si verifica nei Paesi
occidentali. Stati Uniti ed Europa sono investiti da una crescita
economica debole o negativa e, conseguentemente, l’opinione
pubblica si (auto)convince di trovarsi in recessione. Al contrario,
Cina e India (che, tra l’altro, sono anche le nazioni più popolate
del pianeta) stanno registrando alti tassi di crescita economica. In
altre parole, all’interno di questi due paesi la “crisi
globale” non esiste o, nella peggiore delle ipotesi, si tratta
di una crescita economica più debole rispetto agli anni precedenti.
Si tratta, però, pur sempre di crescita e non di recessione!
Analizzando il contesto storico, i paesi sviluppati hanno iniziato ad
andare in crisi nei primi Anni Novanta, in seguito alla fine della
Guerra Fredda, al collasso dell’Unione Sovietica e all’avvio del
processo di “occidentalizzazione” dell’Europa Orientale.
Si è trattato, in pratica, del primo passo verso la cosiddetta
“europeizzazione” dell’economia o, letto in altri
termini, una sorta di globalizzazione su scala europea. Quindi, alla
luce di ciò, si può affermare che la fine della Guerra Fredda, con
la creazione di nuove opportunità economiche, ha determinato il
processo di globalizzazione? Secondo LEWIS e MOORE (“Globalization
and the Cold War: the Communist Dimension”, Management &
Organizational History, Volume 5, n° 1, 2010), la
globalizzazione esisteva già prima della fine della Guerra Fredda ed
aveva due obiettivi. Il primo, perseguito dai paesi occidentali ed
era orientato al mercato. Il secondo, portato avanti dai paesi
comunisti ed era orientato al collettivismo. Quindi, è chiaro che
dopo la fine della Guerra Fredda c’era solo un’unica via per
interpretare questo fenomeno e la caduta del Comunismo ha contribuito
ad accelerare i processi di liberalizzazione, le aperture commerciali
e, conseguentemente, la globalizzazione. Comunque, forse, una grande
spinta verso la globalizzazione è stata data dieci anni prima, negli
Anni Ottanta, grazie alla cosiddetta “reaganomics”,
in altre parole alla politica economica del Presidente americano
Ronald REAGAN, imperniata sullo sviluppo economico trainato
dall’offerta e non dalla domanda aggregata come previsto dalle
teorie economiche Keynesiane. Quindi, dopo un breve excursus
sulla teoria del commercio internazionale, questo saggio si
focalizzerà sulla globalizzazione e agli stretti legami con la
delocalizzazione. In secondo luogo, lo studio indagherà gli effetti
positivi e negativi prodotti dalle politiche di offshoring,
cercando di valutare eventuali legami con i salari. (continua)
Author: Emanuele COSTA
Published by: Bacherontius n° o1/Aprile 2016 con il titolo «Globalizzazione: quali effetti su occupazione e salari?»