(segue) - Il
successo di un Paese o di una politica sta proprio nell’avere la
capacità di individuare le opportunità nascoste. La vittima “par
excellence” è rappresentata da un sistema economico rigido,
incapace di adattarsi al cambiamento e di operare nel mercato
globale. La globalizzazione, infatti, non ha ridotto la dimensione
del mercato, ma l’ha ampliata notevolmente. Le aziende si sono così
trovate improvvisamente a doversi confrontare con numerosi
competitori internazionali dotati di una forza lavoro non solo più
abbondante, ma soprattutto a buon mercato. Se a questo vantaggio
comparativo si aggiungono la riduzione dei costi di trasporto, lo
sviluppo di nuove tecnologie dell’informazione e della
comunicazione e, ultimo ma non meno importante, l’ampliamento della
gamma dei prodotti/servizi commercializzabili, risulta ben chiaro
come le aziende nazionali reputino conveniente trasferirsi all’estero
per sfruttare tutti questi benefici e sopravvivere in un mercato il
cui tasso di competitività è cresciuto sensibilmente. Tuttavia,
così come i Paesi in via di sviluppo sono dotati di questo vantaggio
comparativo (costituito da una forza lavoro abbondante, non
specializzata ed economica), allo stesso modo i paesi
industrializzati devono saper sfruttare il loro vantaggio
comparativo, rappresentato da tutta una serie di fattori intangibili
compresi nella forza lavoro specializzata (a titolo esemplificativo e
non esaustivo: know-how, esperienza, istruzione) che spesso
sono la materia prima dei processi di produzione trasferiti
all’estero. In sintesi, le imprese nazionali
si sono trovate di fronte ad un bivio: da un lato, sopravvivere in
mercato internazionale sempre più competitivo, cercando di sfruttare
tutte le opportunità offerte e, dall’altro, fallire sul mercato
interno, ostile ad accettare i cambiamenti in atto. Alla luce
di quanto sopra, gli studi economici potrebbero incentrarsi
sull’eventuale analisi empirica che metta in evidenza l’esistenza
di eventuali relazioni esistenti tra alcune variabili economiche ed
il tasso di disoccupazione giovanile in Italia. In particolare, da
un lato, si potrebbe considerare lo scenario internazionale, con
specifico riferimento al ruolo giocato dai paesi asiatici,
generalmente imputati di essere i principali fruitori delle politiche
di offshoring
e, dall’altro, considerando il contesto interno, con riferimento ad
un mix
di fattori che la credenza popolare ritiene essere i principali
responsabili del fenomeno analizzato. Nel concreto, la ricerca
potrebbe svilupparsi considerando l’effetto prodotto: dalla
globalizzazione, attraverso l’indice di penetrazione delle
importazioni, e dal mercato interno, attraverso alcune variabili
reputate (teoricamente, popolarmente o politicamente) responsabili.
(continua)
Author: Emanuele COSTA
Published by: Il Nuovo Picchio n° 10/Novembre-Dicembre 2015 con il titolo «Opportunità nascoste, la svolta degli Stati»